Visita card. Parolin / L’intervista

Abbiamo incontrato il Cardinale Parolin dopo la celebrazione in Duomo, in un breve momento di colloquio prima di ripartire per il Vaticano. Egli ha accettato volentieri di rispondere ad alcune nostre domande.

Anzitutto grazie, Eminenza, per aver accettato di rispondere ad alcune domande per il nostro settimanale diocesano. Lei viene da una terra dove la stampa cattolica, in particolare i settimanali diocesani, vantano solide radici e diffusione.
Per cominciare Le chiederei qual è l’immagine di Vigevano che porterà a casa.

«Ho avuto la fortuna di poter percorrere a piedi, questa mattina, il centro storico di Vigevano, così non solo da “vedere” la bellissima Piazza Ducale, ma soprattutto di “entrarvi”, ammirando il suo insieme architettonico e la facciata del Duomo scaturiti da due geni come Leonardo e il Vescovo Caramuel.
Dal punto di vista umano ho percepito una affettuosa accoglienza da parte di tutti quelli che ho incontrato. In America Latina, quando si riceve qualcuno in casa, c’è la bella abitudine di dire: “Es su casa” (è casa sua!). Ecco, mi sono sentito proprio a casa.
Ne approfitto per ringraziare Sua Eccellenza il Vescovo Maurizio, il Sindaco di Vigevano, le Autorità, gli organizzatori della giornata e soprattutto tutti i fedeli».

È la prima volta che visita queste zone?

«Si, non c’ero mai stato. A motivo del mio servizio alla Chiesa, sono impegnato spesso in viaggi internazionali, per cui ho poco tempo per visitare la nostra bella Italia e le nostre Diocesi, sempre ricche di tradizioni religiose, di fermenti spirituali e di un’operosa vita cristiana. A ciò la Diocesi di Vigevano aggiunge il tipico dinamismo lombardo. Ho avuto modo, mentre mi preparavo alla visita di oggi e nell’incontro con il vostro Vescovo, di scoprire tante belle figure che poco conoscevo ma che voi particolarmente venerate, come il Beato Matteo Carreri, Protettore di questa città, e i due recenti Beati, Francesco Pianzola e Teresio Olivelli, figli di questa terra, che sono stati canonizzati in questi ultimi anni e che hanno avvicinato a Vigevano altre eminenti e care figure come i Cardinali Attilio Nicora, José Saraiva Martins, Dionigi Tettamanzi, e, appena qualche settimana fa, Angelo Bagnasco. Nel 2007 avete avuto la visita pastorale di Benedetto XVI. Mi spiegavano inoltre la realtà del Palio delle Contrade e l’attività del Consorzio Nazionale dedicato ai Santi Crispino e Crispiniano, che ogni anno organizza il premio per la fedeltà lavoro. Mi sembra di poter constatare una bella vivacità ecclesiale».

Riprendendo la sua prolusione di questa mattina, Eminenza, ci ha offerto riflessioni e soprattutto “sfide” per quanto riguarda la “presenza” della Chiesa nella società di oggi certamente non sempre facile…

«Io credo che l’accento va posto sulla “Chiesa in uscita” che Papa Francesco ha proposto fin dall’inizio del suo pontificato, cioè una Chiesa che annuncia e testimonia. Annuncio e testimonianza! È vero – e lo dico anche in riferimento alla mia terra di origine, a cui prima si è fatto cenno – oggi non possiamo più fermarci alle tradizioni, o al si è sempre fatto cosi, o alle cose scontate, ma dobbiamo essere sempre pronti ad “inventare” presenze e contributi culturali, capaci di dialogare con il mondo di oggi, naturalmente supportati da una fede convinta. L’annuncio e la testimonianza vanno vissuti ovviamente nei luoghi della quotidianità e della relazionalità».

Il rischio, di fronte alle difficoltà di oggi, non può essere quello, per i cristiani, di chiusure in sé stessi o nei propri ambiti, trincerandosi dietro a gruppi, associazioni, “luoghi” dove è più facile condividere le stesse convinzioni di fede?… ma poi a scuola, in fabbrica, sui mass-media… quasi c’è il rischio di una rassegnazione.

«Per questo è importante più che fare riferimento a format collaudati per quanto riguarda la trasmissione della fede, soprattutto alle giovani generazioni, tenere sempre viva una testimonianza personale di fede, di annuncio, di capacità di ascolto e di relazione nei diversi luoghi della vita quotidiana, a cominciare dalla famiglia, poi nella scuola, nel mondo del lavoro, nei diversi ambiti culturali. “Accontentarsi” di vivere la fede tra i confini di una comunità ecclesiale o di una parrocchia non basta. La sfida è proprio questa! Certamente la comunità ecclesiale e la parrocchia rimangono sempre luoghi di ricarica spirituale e di crescita nella fede».

Don Emilio Pastormerlo insieme a S.E. Parolin
Don Emilio Pastormerlo insieme a S.E. Parolin

Eminenza, il suo ruolo di “Segretario di Stato” la porta ad una relazionalità con le diverse culture e soprattutto con i diversi ambiti politici di tutto il mondo. Il Santo Padre, se mi è consentito, come consiglia di vivere queste relazionalità?

«Sappiamo che Papa Francesco ci invita sempre a collocare al primo posto i poveri e i deboli. Per questo, quando incontro i Capi di Stato e di Governo e le Autorità di un Paese cerco di farmi voce di chi non ha voce, non solo prendendo le difese dei più deboli, ma anche indicando cammini che possano portare a soluzioni di “promozione umana”, con l’aiuto pure della Santa Sede. Mi sforzo poi, al di là dei saluti e degli atti protocollari, di incontrare la gente, le popolazioni, gli uomini e le donne, i bambini e gli anziani e di avvicinarmi a tutti, per far vedere che ognuno di loro è prezioso e merita ogni attenzione. Il consiglio e l’esempio del Santo Padre è sempre quello di mettere in prima linea la dignità e il bene della persona».

Purtroppo, oggi siamo “costretti” a parlare di guerra. Non solo quella vicino a noi, in Ucraina, ma anche quelle guerre di cui nessuno parla e sono sparse nel mondo.
Quali cammini possono condurci ad una pace autentica e duratura?

«Le Giornate Mondiali della Pace, istituite, da Papa San Paolo VI nel 1967, hanno tracciato cammini di fede e di cultura finalizzati a costruire la vera pace. I temi suggeriti sono sempre stati legati alla giustizia, ai diritti umani, all’amore, al dialogo. Noi dobbiamo cercare di fare nostri questi cammini, nella quotidianità della nostra vita, nelle nostre famiglie, nelle parrocchie, nei luoghi culturali e sociali, dove la voce cristiana può avere condivisione e dialogo. Naturalmente tutto questo deve essere accompagnato da una intensa preghiera per invocare il Dio della pace. Credo davvero che la preghiera e la testimonianza dei singoli e delle diverse comunità siano fondamentali per costruire solide e durature situazioni di pace. Devono spingerci ad essa le immagini del volto di un bambino in mezzo alle macerie, di una famiglia costretta ad abbandonare la propria casa perché bombardata, del migrante che sfugge alla fame e ai conflitti. Da qui scaturiscono precisi atteggiamenti, in particolare quello dell’accoglienza, della condivisione, della comunione fraterna».

Grazie, Eminenza, di aver condiviso questi suoi pensieri con i nostri lettori, e di aver sottolineato con la bella espressione “Es su casa”, che si è trovato come a casa sua.

Emilio Pastormerlo

Le ultime

Il valore delle lacrime

«Beati quelli che piangono, perché saranno consolati». È la...

Csi Open 11, all’A-Team Gifra il “clasico” con il Rosasco

La prima vittoria dell'A-Team Gifra nel girone C del...

San Martino Siccomario, progetto per la nuova piscina

Una nuova piscina: il primo passo è stato compiuto...

Il racconto / La notte della ballerina volante

Le ballerine erano giovanissime, e tutte eccezionali. Si vedeva...

Login

spot_img