Pianura Padana, una calda notte d’estate. Gli ultimi raggi del sole, ormai quasi completamente tramontato, illuminano la golena del Po, sempre più larga a causa della siccità e dell’assenza di piogge. Muovendosi fra i pioppi, un giovane maschio percorre rapidamente un tratto di riva libero da ripari, andandosi a infilare in una macchia di arbusti secchi. E’ troppo piccolo per essere un lupo, ha il muso troppo aguzzo e riflessi rossastri sul pelo; ma d’altra parte, ha anche una coda troppo corta per essere una volpe: quello che, a un occhio inesperto, potrebbe assomigliare a un incrocio di tutti e due è invece uno sciacallo dorato, “cugino” di entrambi (è anch’esso un canide) e protagonista di una delle “migrazioni” più impressionanti registrate in Italia negli ultimi anni.
LA STORIA Canide di medie dimensioni diffuso dall’Asia all’Europa sudorientale, il Canis aureus (questo il suo nome scientifico) è presente sporadicamente in Italia dagli anni ’80, quando alcuni esemplari furono osservati tra Friuli e Veneto. Si trattava perlopiù di giovani maschi provenienti dai Balcani, dove questa specie è ampiamente diffusa: almeno fino al 1994, quando un primo nucleo famigliare fu registrato nel Bellunese. Lo sciacallo rimase “confinato” all’Italia orientale fino agli anni ’10 del nuovo millennio, quando (forse favorito dalle mutate condizioni climatiche e dalla maggior disponibilità di cibo) cominciarono a spuntare segnalazioni da ogni dove: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e da quest’anno pure Toscana e Lazio, con il parco del Circeo a rappresentare il punto più meridionale della sua espansione. A ovest la sua presenza è accertata fin nel Torinese, con la pianura Padana ormai conclamatamente frequentata da questo schivo carnivoro, che si nutre prevalentemente di piccoli animali e carogne e non rappresenta un pericolo per le attività umane.
LE RICERCHE Un avvistamento come quello descritto all’inizio, con un po’ di fortuna, potrebbe essere fatto sul nostro territorio nei prossimi mesi: il Parco naturale del Po Piemontese, infatti, ha avviato per quest’estate un ampio monitoraggio delle aree di sua competenza nell’Alessandrino (al confine con la Lomellina, quindi) con l’ausilio di fototrappole, termocamere e soprattutto sessioni di bioacustica, una serie di richiami registrati per indurre gli animali a rispondere e determinarne il numero e il sesso. Questo è il periodo migliore per rilevare lo sciacallo, perché rispondono ai richiami sonori anche i giovani: proprio per questo motivo i guardiaparco e il tecnico faunistico dell’Ente-Parco faranno sessioni periodiche durante tutta l’estate.
GLI AVVISTAMENTI Tutto questo per appurare quanti esemplari di questa specie siano presenti sul territorio: non una domanda oziosa, ma già suffragata da prove. Il primo Canis aureus nel Monferrino fu avvistato nel luglio del 2020 a Pontestura (20 km dalla Lomellina), presenza immortalata prima da una fototrappola e poi confermata grazie alle emissioni sonore. Nel marzo di quest’anno, invece, un esemplare femmina morto avvelenato a Viguzzolo, nel Tortonese, ha fatto balenare il sospetto che, forse, non siano più solo i maschi a frequentare l’area, ma che ci siano anche gruppi riproduttivi. Nel 2020, sulle sponde del Po, a condurre una sessione di emissioni play back c’era anche Giuseppe Bogliani, nato a Garlasco, etologo, ricercatore e fino al 2019, anno della pensione, professore dell’Università di Pavia. Quella sera, il ricercatore e gli altri esperti coinvolti appurarono la presenza di un animale, probabilmente un giovane maschio in dispersione.
ZONE DI PASSAGGIO «Probabilmente l’esemplare che frequentava Pontestura, che è appena a ovest di Casale Monferrato, era passato dalla Lomellina. Gli sciacalli infatti, non solo ma spesso, si disperdono tramite le golene dei fiumi, che sono vere e proprie “autostrade” per gli animali, tramite le quali possono attraversare interi territori senza, ad esempio, correre il rischio di essere investiti». Il road killing, infatti, è una delle principali cause di morte per molti animali: e lo sciacallo purtroppo in questo non fa eccezione. Il Canis aureus più “occidentale” in Italia è stato rilevato proprio a causa di un investimento stradale nella zona del Torinese:
Abbiamo in effetti pensato che l’esemplare investito a Ivrea fosse lo stesso fototrappolato a Casale – rivela Bogliani – ma basandoci solo sulle immagini è difficile dirlo; per appurarlo con certezza avremmo dovuto avere degli escrementi e fare una comparazione del Dna, come viene sempre più spesso fatto con i lupi.
Se nel vicino Piemonte la presenza di questo canide è ormai accertata, al momento nella “terra del riso” propriamente detta non sembrano esserci ancora evidenze. «Se lo sciacallo c’è in Lomellina, passa inosservato: se qualcuno lo vede, è facile che lo scambi per una volpe, un cane o un lupo – spiega infatti Bogliani – Allo stato attuale delle cose, non lo sappiamo». Anche perché, in quelle aree pianeggianti lungo i fiumi così perfette per disperdersi nella pianura, lo sciacallo dalle nostre parti ha un vicino ingombrante.
COMPETIZIONE «Lungo le golene del Po sempre più spesso è accertata la presenza dei lupi, e questo non va bene per lo sciacallo. Le due specie possono convivere, per un certo periodo di tempo: ma nelle zone dove è presente il lupo gli sciacalli ad esempio non rispondono ai richiami in play back, per timore di farsi scoprire. Il lupo è un competitor dello sciacallo: è sì un predatore, ma anche uno spazzino, è più grosso e fra i due è il Canis aureus a soccombere».
Alessio Facciolo