Un anno fa, la Settimana Santa l’abbiamo vissuta a “porte chiuse”, senza la presenza dei fedeli, ma solo con il celebrante, i ministri, i lettori.
Quest’anno, pur ancora in una crisi pandemica che non permette di intravedere sbocchi concreti, le celebrazioni liturgiche sono consentite, in rispetto ai “protocolli” di sicurezza siglati tra la Santa Sede e lo Stato Italiano
Non dobbiamo certamente vivere questa possibilità come un “privilegio” (qualcuno già dice… perché le chiese sì e i teatri no..), ma come una “missione”, una opportunità, che va ben oltre gli stessi riti.
Sappiamo, infatti, che la vera liturgia non si esaurisce in gesti prettamente rituali, ma trova il suo autentico significato e la sua ragion d’essere nella capacità che gli stessi riti hanno di rendere “attuali” e in un certo senso profetici i “momenti” che i riti ci fanno vivere.
La celebrazione eucaristica, ad esempio, non è semplicemente una rievocazione storica dell’ultima cena, ma la rende viva, attuale, in quel luogo e in quella comunità.
Facilmente, allora possiamo capire che le celebrazioni pasquali che andremo a vivere la prossima settimana, le più importanti di tutto l’anno liturgico, non possono “restare chiuse” all’interno delle nostre chiese
E’ vero, tutte le norme di sicurezza previste sono finalizzate a impedire i contagi, ma, non me ne vogliano i diversi virologi, in realtà, lo scopo della “missione” liturgica è proprio quella di “contaminare”, attraverso l’annuncio, la dimensione di apertura agli altri che ogni celebrazione comporta, con la testimonianza con cui ciascuno esce dalla chiesa per portare a tutti l’annuncio della salvezza.
In questa Pasqua, come non mai, noi cristiani siamo invitati a “contagiare” con l’annuncio della Risurrezione, di cui oggi l’uomo ha estremamente bisogno. Un annuncio di speranza, di vita, che non vuole “guardare oltre” i problemi, ma viverli nella dimensione della fede
Si fanno tanti discorsi sulle conseguenze psicologiche e sociologiche che le attuali chiusure porteranno anche per il futuro soprattutto per i giovani, ma il cristiano sa, che, pur fisicamente “distanziato” dagli altri, può e deve portare una realtà di speranza, una parola non solo di conforto, ma di certezza.
Nella pasqua noi annunceremo il Cristo Risorto, non in sordina, non solo con i nostri fratelli “chiusi” tra le mura delle nostre chiese, ma “gridandolo dai tetti”,…della nostra quotidianità, per portare una parola di speranza, dove in un mondo che ogni giorno si ritrova ripiegato su se stesso, incapace di guardare una “luce” che va oltre i vaccini o le mascherine.
Dep