Santa Sofia, “Città aperta”

“Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato”. Poche parole, che pesano come un macigno.
Papa Francesco, domenica scorsa all’Angelus ha manifestato tutto il suo dolore in merito alla decisione del presidente turco, Erdogan, di riconvertire la Basilica di Santa Sofia a Moschea, cancellando la decisione del “padre” della Turchia moderna, Ataturck, che l’aveva destinata a Museo, aprendola così di fatto a tutte le culture e a tutte le religioni, anche se non era più luogo di culto.
Poche volte abbiamo sentito Papa Francesco così “deciso” nell’esprimere un dolore, che di fatto è una condanna.

Questo Papa, infatti, ci aveva ormai abituato a trovare sempre la strada del dialogo e a lasciare una porta aperta a tutte le culture e forme di fede , in nome di quei valori che non possono che riandare all’unico Dio.

L’esclusività voluta da Erdogan, di fatto, ha fatto compiere passi indietro nella storia e ha eretto quei muri che non si vedono materialmente (vedi quello di Berlino o di Betlemme) ma che la storia insegna risultano più difficili da abbattere di quelli costruiti con i mattoni.
Il muro della ideologia o di una fede integralista, non può essere smosso nemmeno da un carro armato.
Per questo il Papa ha fatto sentire tutto il suo dolore e tutta la sua preoccupazione.
Crediamo che certi “luoghi” nel mondo rivestano un valore che va bel oltre anche la loro specifica finalità o destinazione d’uso. E’ il valore dato dalla storia, dalle culture, dagli incroci di fede e di tradizioni. Sono valori inestimabili non semplicemente dal punto di vista economico, ma soprattutto dal punto di vista del cammino dell’uomo.

Quando una persona entra in Santa Sofia, ad esempio, non entra solo come “fedele” di una religione, certamente da rispettare, ma entra nella storia, entra nei cammini dell’umanità, entra non una “fede”, ma in tante “fedi” che hanno segnato i camini dell’uomo, con tutti i risvolti positivi e negativi, ma comunque con “eventi” autentici nella loro dimensione nel loro significato.
Pensiamo ad esempio, al “muro del pianto” a Gerusalemme o alla “spianata delle moschee”, luoghi oggi pieni di tensioni, ma che “raccontano” radici della storia, “radici” dell’umanità.
Così per tanti altrui luoghi nel mondo.
Per questo il “dolore” del Papa non ha il significato di una chiusura o di una protesta di parte, ma quello di un grande rammarico e di forte delusione, per quanto l’uomo non riesca a vivere letture oggettive nei cammini della storia, ma tenti sempre di imbrigliare nelle ideologie gli eventi e gli insegnamenti della storia.
Dopo “Roma Città Aperta”, vorremmo coniare lo slogan “Santa Sofia città aperta”, non solo alla gente che vuole visitarla, ma soprattutto alle idee di cultura, di storia, di libertà.

Dep

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