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Le donne vivono una “transizione infinita”. In occasione della giornata mondiale dell’8 marzo può essere utile analizzare il divario di genere in uno degli ambiti più importanti della vita di una persona: il lavoro, quel lavoro che la Costituzione italiana pone a fondamento dell’intero contratto sociale. Il Rapporto annuale Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), pubblicato a dicembre 2024, racconta che «il tema chiave di quest’anno è la “transizione” e la sua persistente incompiutezza intesa come abbandono di una condizione esistente verso obiettivi di miglioramento collettivo. Nello scenario attuale, dominato dalle grandi transizioni (verde, digitale, demografica), l’incremento della presenza femminile nel mercato del lavoro ed il superamento dei gender gap resta, tuttavia, la transizione più grande e imprescindibile per la realizzazione delle altre».
POCO STEM Il World Economic Forum stima che, al passo attuale, il mondo raggiungerà la parità nel 2158, tra 133 anni. Per quanto riguarda l’Italia, il Global Equality Index dell’Ue nel 2024 le assegna 69.2 punti a fronte di una media comunitaria di 71, con un ritardo soprattutto negli indicatori “Lavoro” (65.5), “Potere” (66.5), “Conoscenza” (61). Quest’ultimo ambito è segnato da un limitato accesso delle donne ai percorsi Stem (di ambito scientifico, ingegneristico, tecnologico, matematico), nonostante tra i 16 e i 19 anni le ragazze con competenze digitali almeno di base siano in percentuale di più dei ragazzi (68.3% contro 64.9%), mentre per quelle avanzate ci sia una sostanziale equivalenza (24.4%). Eppure ad esempio nell’area informatica le laureate sono il 16.8% del totale, i laureati il 27.5%.
PART TIME La divergenza nella formazione si ripercuote poi nell’ambito della carriera – e delle posizioni di potere, anche come ruoli pubblici – e in quello lavorativo, che riguarda tutta la popolazione femminile. Così il tasso di attività tra 15 e 64 anni è del 70% per gli uomini e scende al 52.5% per le donne, con una disparità ancora più marcata nella fascia 25-34, nella quale l’inattività femminile arriva al 32.8% e quella maschile si ferma a meno della metà (15.7%). Anche analizzando l’ingresso nel contesto professionale persistono le differenze: nel primo semestre 2024 su circa 4.3 milioni di assunzioni il 42% ha riguardato donne. Inapp mette in relazione tre indicatori ovvero stabilità dell’occupazione, regime orario, combinazione tra i due. Rispetto al primo per la componente femminile il tempo indeterminato è al terzo posto nei contratti non agevolati (13.8%) e al quarto in quelli agevolati (15.2%), in relazione al secondo «il part time femminile incide al 58% contro il 46% delle assunzioni non agevolate e il part time maschile del 33% contro il 25.5%». Infine la correlazione tra i due elementi per l’occupazione femminile si traduce in «un doppio fattore di debolezza» incidendo per il 61% delle assunzioni non agevolate e per il 75.7% di quelle agevolate.
FATTORI Non sono gli unici parametri in gioco, perché a contribuire allo svantaggio sono anche il carico di cura e la presenza di un background migratorio. Se la giornata lavorativa delle donne europee con figli under12 è «circa 40 minuti più lunga» è perché in Ue e in Italia sono soprattutto queste a farsi carico della famiglia e della prole, un “peso” che condiziona non solo il lavoro domestico, ma anche le scelte professionali, cosicché ad esempio «nel 2022 il tasso di femminilizzazione è circa il 79% nella sanità, il 77% nell’istruzione». Quanto alla cura vera e propria, «i dati Inps 2024 sull’uso dei congedi parentali nell’ultimo decennio rivelano che le richieste di congedo da parte delle madri coprono l’80% del volume totale». Il congedo «è fondamentale per permettere ai nuovi genitori di bilanciare le responsabilità lavorative e familiari», quando a usufruirne è solo una componente aumenta il rischio di depauperamento del capitale umano, interruzioni lavorative, divario retributivo. «I paesi con politiche di congedo di maternità retribuito più generose tendono ad avere divari retributivi di genere più stretti», allo stesso modo «i congedi più lunghi (oltre sei mesi), possono contribuire ad ampliare il divario». Inapp, ripercorrendo i principali studi in quest’area, sottolinea che congedi, assistenza all’infanzia accessibile, modalità di lavoro flessibili sono tre fattori chiave per garantire una maggiore e migliore occupazione per le madri. Altrimenti, come accade in Italia, il 47.5% delle mamme si ritrova con un indice di carico di cura medio o alto a fronte del 21.1% dei papà e il 25.8% con un carico sbilanciato (contro l’1.7%), anche se c’è un 14.4% di casi in cui è “per entrambi elevato”. Con conseguenze prevedibili: se il 91.3% dei padri lavora prima e dopo la nascita di un bambino (a 2 e 3 mesi di distanza), questo vale solo per il 39.8% delle madri, mentre il 36.6% non lavora né prima né dopo.
L’essere donna diminuisce del 27% la probabilità di essere occupata rispetto all’essere uomo, l’avere figli minori di 3 anni la riduce di ulteriori 16 punti, mentre per gli uomini l’effetto di avere figli risulta positivo, seppur pari solo a 1 punto.
POTENZIALE I percorsi professionali accidentati diventano poi maggiore esposizione al lavoro povero – causato soprattutto dalla forte incidenza del part time, volontario o imposto – e pensioni più basse rispetto agli uomini. E si affiancano a un tema che di fatto è ancora tabù, cioè le molestie sul posto di lavoro, «un fenomeno complesso e in gran parte sommerso, nel quale la matrice culturale che delinea i rapporti di genere incide sia nel suo manifestarsi sia nel tacere lo stesso da parte delle vittime». Le stime di Inapp per l’Italia riguardano più di 2 milioni di persone, di cui l’81.6% donne, che ne hanno subita una almeno una volta nella vita. Il divario di genere sul lavoro non è dunque solo un tema di equità, ma all’iniquità si aggiunge lo spreco: in un’Italia avviata a un declino demografico inesorabile, diventa cruciale il ruolo delle donne. Non come madri – la genitorialità più che “peso” per le donne dovrebbe diventare responsabilità condivisa della famiglia e anche della società che deve dare “valore” ai figli – ma come lavoratrici: se l’occupazione femminile è al 52.5% della platea occupabile, in uno scenario in cui ci sarà una persona in età attiva per ogni persona in età inattiva, diventerà cruciale assicurare la partecipazione al lavoro da parte di tutti i potenziali attivi. Inapp osserva che «la questione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro […] diventa in questo contesto una risorsa strategica per il Paese».
Giuseppe Del Signore