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Senza farci caso durante le interviste lo chiamano «il nostro paese». Eppure l’Italia a loro la cittadinanza la riconosce solo dopo i 18 anni e solo in presenza di precisi requisiti. Dietro al dibattito politico sulla cittadinanza ci sono nomi, volti e storie. Il problema è molto sentito soprattutto dalle “seconde generazioni” ovvero chi è nato in Italia da genitori stranieri e, per le norme attuali, deve attendere il compimento dei 18 anni per ottenere la cittadinanza.
PAUSE VIETATE Mohamed Seddik, ad esempio, ha 21 anni e l’ha conseguita da soli sette mesi. «Sono nato in Italia da genitori entrambi egiziani che sono qui, a loro volta, da più di trent’anni». Mohamed ha vissuto nel nostro paese i primi anni di vita (dal 2002 fino al 2006) per tornare in Egitto fino al 2014 e ritrasferirsi, fino ad oggi, in Italia. Questa è la prima “falla” dell’attuale legge che norma l’ottenimento della cittadinanza: la permanenza in Italia deve essere continuativa e non avere interruzioni di alcun tipo. «Dal 2014 ad oggi – racconta Mohamed – sono sempre rimasto qui, svolgendo anche il mio percorso scolastico (medie e superiori) in Italia. Oltre allo studio, durante le scuole superiori, ho anche lavorato. Dopo essermi diplomato lo scorso anno, continuo a lavorare».
EFFETTO OSMOSI Anche Daniel Ndreca ha portato avanti un percorso di lavoro senza rinunciare allo studio: «Ancora prima di compiere 18 anni – spiega – mi sono iscritto subito a scuola guida. Il mio intento era quello di trovare un lavoretto, e così riesco a fare, in una pizzeria d’asporto a Sannazzaro come ragazzo delle consegne». La storia di Daniel è un po’ diversa da quella di Mohamed. «Sono nato in Albania (nella città di Scutari), all’età di tre anni i miei genitori decisero di migrare in Italia alla ricerca di una vita migliore. Per qualche anno abbiamo fatto avanti e indietro dall’Albania per poi trasferirci a Garlasco, dove i miei genitori comprarono casa. Io ho frequentato tutte le scuole in Italia: dalle elementari, alle medie fino a ragioneria». Nonostante le storie diverse, entrambi esprimono la stessa visione degli attuali meccanismi di ottenimento della cittadinanza: da una parte Mohamed che spiega come «le attuali norme sono troppo rigide. La legge non tiene conto del fatto che, anche se non siamo nati in Italia o non abbiamo genitori italiani, comunque viviamo, studiamo e lavoriamo qui. Servirebbe meno burocrazia sul tema». E’ dello stesso avviso Daniel:
Concederei la cittadinanza a chi completa il percorso della scuola dell’obbligo. Parlando per esperienza personale chi studia in un paese finisce per assorbirne la cultura e le tradizioni.
PRONTA A GIURARE Storia ancora diversa è quella di Mena Elbana (o meglio Menna in quanto spiega che «al momento della trascrizione del mio nome l’anagrafe ha sbagliato a scrivere e quindi risulto con un nome sbagliato»). Menna è nata in Egitto nel 2005 e da 17 anni vive in Italia. «Fra due mesi – racconta – ho l’appuntamento in Comune per effettuare il giuramento che mi permetterà di diventare ufficialmente cittadina italiana; è un traguardo che raggiungo dopo tanti sacrifici». Questi sacrifici sono anche dovuti alla discriminazione che i giovani di origini straniere ricevono nella quotidianità: «Sin da subito – spiega Menna – ho ricevuto commenti poco gradevoli che erano sicuramente dovuti al fatto che fossi straniera. Mi ricordo, ad esempio, che non volevo imparare l’arabo perché sarei stata “diversa” dagli altri e mi avrebbero preso in giro». Anche Menna è concorde sul tema della concessione della cittadinanza, facendo anche un esempio personale: «Andrebbero perfezionate alcune norme. Prendo ad esempio il caso dei miei fratelli. Sono nati entrambi a Milano, hanno trascorso la loro vita per intero nel nostro paese, adesso hanno 16 e 17 anni e secondo la legge non potrebbero ottenere la cittadinanza fino alla maggiore età. Sono riusciti a ottenere la cittadinanza solo dopo che mia mamma l’ha, a sua volta, ottenuta. Ma perché bisogna aspettare così tanto?».
Edoardo Casati