Messaggio di Natale del Vescovo: «Non dobbiamo scoraggiarci»

Con i Primi Vespri di sabato 26 novembre abbiamo iniziato il cammino di Avvento, dopo avere vissuto la consacrazione del nuovo altare della Cattedrale. In quella occasione abbiamo celebrato il mistero della Pasqua nella proiezione verso la venuta finale del Signore alla fine dei tempi, dove cielo e terra si congiungono in Cristo morto, risorto e glorificato e dove l’umanità contempla nel mistero il Regno di Dio, quando Dio sarà tutto in tutto e tutti saremo una cosa sola nel Figlio con il Padre.

Con la discesa delle ombre della sera, abbiamo iniziato il cammino dell’attesa del Signore che viene nelle tenebre del mondo lontano da Dio. Il nuovo anno liturgico ci conduce nel tempo incontro al Signore esortandoci alla speranza e alla vigile attesa. La prima cosa che il Signore ci dice è che la salvezza non sarà conquista dell’uomo, ma venuta del Signore.

E ce lo dice, ricordandoci che non dobbiamo scoraggiarci, nonostante le tante situazioni negative, ma neppure dobbiamo avere la presunzione di portare tutto noi a compimento

DIO Vigevano Gervasoni
Il Vescovo Gervasoni prende parte al discorso.

La liturgia ci ricorda la Parola di Dio che ci dice che, come ai tempi di Noè, gli uomini mangiavano, bevevano, compravano e vendevano, senza accorgersi della fine che si avvicinava minacciosa. Solo Noè, uomo saggio e prudente, ha saputo preparare in modo adeguato la venuta del Signore. E così, per lui tale venuta è stata di misericordia e di speranza, mentre per gli altri, con il diluvio, è stata di giudizio e di morte.

In questi nostri giorni, molti sono i segni che esortano a risvegliarci dal sonno e dal torpore a cui la cultura del consumo e del benessere ci hanno abituati. Le crisi sanitarie, politiche ed economiche sono ormai sempre più frequenti e profonde e ci fanno capire che la nostra vita non sarà più come prima.

Non sappiamo ancora bene che cosa succederà e non siamo capaci di muoverci per evitare i danni, ma la nostra spavalda sicurezza lascia ormai il passo a un senso di provvisorietà e di timore. In qualcuno già si vedono i segni di rabbia e di rancore

La contemplazione del Re dell’universo che per noi si è concretizzata nella celebrazione per il nuovo altare, non ci deve fare dimenticare che l’attesa del Signore che viene non ci risparmia la grande tribolazione, ma ci chiede anche la speranza fiduciosa e certa che si concretizza nelle buone opere con cui attendiamo il Signore. Questa vigilante attesa ha le note della carità solidale e ricca di povertà, perché non si costruisce sui beni e sulle cose, ma sul bene e sullo Spirito che fa delle relazioni la grande risorsa della nostra comunità.

L’umanità è come in un grande esodo nel deserto, dove le ricchezze e le certezze delle abitudini non ci sono, ma c’è la speranza e il cammino verso la terra promessa. Ciò che sostiene è la forza di lasciare la condizione di schiavitù e la fatica di fidarci della parola di Dio che ci chiede di amare la legge che il Signore ci dona

Il nuovo esodo è indicato nell’Avvento come qualcosa che non solo riguarda l’umanità, ma si riferisce a Dio stesso, proprio perché Egli nell’Incarnazione scende dal cielo e assume la nostra stessa condizione mortale e segnata dal peccato. Egli impara l’obbedienza dalle cose che patisce e offre se stesso come vittima per la nostra salvezza, per fare di noi un popolo santo, un’offerta gradita a Dio. Queste espressioni della Lettera agli Ebrei ci ricordano il tema del nostro programma pastorale sulla Liturgia e ci invitano a vivere con intensità liturgica e con solidarietà sincera il Natale che viene.

La grande promessa diventa piccolo bambino. La prima cosa che la Liturgia ci chiede è di contemplare questo mistero e di aprire il cuore alla gioiosa speranza di seguire nel cammino della vita anche tribolata e pericolosa il Signore che nasce, cresce e cammina verso la Pasqua, facendo di noi un popolo rinnovato dall’amore.

Buon Avvento e buon Natale a tutti.

+ Maurizio Gervasoni Vescovo

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