Ha vinto il disinteresse. Né “sì” né “no”, semplicemente alla stragrande maggioranza degli italiani di questi cinque referendum non interessava nulla:
li sentivano distanti, non li capivano, non ne comprendevano l’importanza per la loro vita quotidiana
ed è difficile dargli torto visto che i quesiti erano molto tecnici, alcuni scritti male – si vedano le 1109 parole del terzo – e che siano stati quasi del tutto esclusi dal dibattito pubblico e dai media, che gli hanno dedicato spazio ampio solo a ridosso della consultazione stessa. Si potrebbe argomentare che, se così è stato, è perché effettivamente i temi che affrontavano non appassionavano i cittadini né avrebbero avuto effetti diretti sulla loro vita – eccezion fatta per i primi due, con l’abolizione della “legge Severino” che impedisce a chi ha ricevuto una condanna di ricoprire incarichi pubblici e la riduzione dei campi d’applicazione delle misure cautelari, che si usano quando un imputato è ritenuto pericoloso socialmente – e avrebbero dovuto essere affrontati in Parlamento vista la loro complessità e visto che alcune riforme o disegni di legge presentati alle camere vanno proprio a esaminarli, ma è pur vero che la Corte Costituzionale li ha dichiarati ammissibili e che quindi non solo era legittimo, ma anche doveroso che la voce popolare trovasse ascolto.
ANATRA ZOPPA Invece quello che si è ottenuto è uno spreco di tempo e risorse che nemmeno è stato utile a restituire una fotografia fedele dell’opinione del Paese su questo tema, perché il “sì” si è imposto con un margine abbastanza ampio, ma i votanti non sono rappresentativi dell’intera popolazione in quanto oltre a chi non ha votato per disinteresse c’è chi non lo ha fatto per impedire di raggiungere il quorum. E non sono rappresentativi neppure i non votanti, poiché rinunciando all’esercizio del diritto dovere di voto non hanno reso nota la loro opinione. Quanto basta per chiedersi se non sia opportuno un ripensamento dello strumento referendario per quanto riguarda il superamento del quorum o una sua revisione verso il basso, visto che oggi da strumento di tutela che impedisce a una minoranza di decidere per tutti si è trasformato nel rovesciamento della democrazia diretta, di cui proprio il referendum è l’unica espressione prevista dalla Costituzione; si è instaurato difatti un meccanismo perverso per cui si rinuncia a esprimersi per timore di scoprire di essere quella minoranza.
AUTOSTRADA Tuttavia è legittimo anche un ragionamento speculare, perché nel 2021 il Parlamento ha dato il via libera alla raccolta firme digitale, che ha reso molto più semplice aderire alle campagne referendarie col risultato che per i quesiti per i quali si è votato domenica i promotori annunciarono di averne raccolte 700-750mila. Anche se i numeri reali sono ancora oggetto di confronto, resta la rapidità con cui il cittadino può muoversi: basta prendere il telefono, cercare il sito dedicato alla raccolta firme, inserire i dati e concludere l’operazione.
Pochi minuti direttamente dal divano di casa… dove poi si finisce col restare quando è il momento di andare a votare per davvero.
Perché il digitale può potenziare la partecipazione, ma anche la superficialità con cui si aderisce a una campagna tra una storia e un reel, cosicché sarebbe opportuno pensare da un lato a una riduzione del quorum e dall’altro a un aumento del numero di sottoscrittori necessari così come del numero di Regioni richiedenti.
Giuseppe Del Signore