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Mense scolastiche: la “povertà alimentare” c’è anche “in classe”? I dirigenti del territorio escludono situazioni di grave marginalità, ma l’associazione Articolo 3, nata nel 2012 in risposta al giro di vite sull’accesso alle mense voluto dalla prima giunta Sala, racconta che negli anni a Vigevano la situazione non è molto cambiata e ci sono ancora numerose famiglie che chiedono un sostegno per far mangiare i propri figli a scuola.
ARTICOLO 3 «Nelle uscite, la voce più rilevante, poco meno di 14mila euro, è costituita dalle erogazioni per mense scolastiche, importo raggiunto con 327 versamenti. L’Associazione aiuta le persone che arrivano da sole, mandate dagli assistenti sociali o da altre associazioni, pagando una bolletta, aiutandole a pagare la mensa scolastica dei figli, ma alla fine la coperta è sempre troppo corta: siamo davanti a una lenta ma costante rottura degli equilibri sui quali si reggeva la società. Le donne reggono il peso della gestione della famiglia, spesso sono sole: le retribuzioni sono diminuite, ma il costo della vita è aumentato».
MELTING POT VIDARI Massimo Camola, dirigente al comprensivo di via Valletta Fogliano, riporta come «il nostro Istituto ha affrontato già da anni il problema del consumo del pasto domestico, portato da casa. Le motivazioni sono legate, per la maggior parte a difficoltà di carattere economico e, in misura minore a scelte alimentari legate anche al gradimento del menù proposto, pur essendo disponibili da parte della Ditta fornitrice del servizio anche varianti legate a necessità di salute o scelte etiche». La scelta è più forte nella primaria Vidari, che ha una percentuale elevata di alunni di origine straniera ai quali si associano anche abitudini alimentari differenti per ragioni culturali e religiose.
In termini quantitativi al Vidari circa un terzo dei quasi 500 alunni si avvale di questa opzione. Nelle altre due primarie, l’incidenza è inferiore, alla Ricci è del 15%. Non è possibile leggere questi dati come indicatori di povertà alimentare. Andrebbe incentivata già in ambito familiare l’abitudine ad una dieta ricca e più varia per evitare gli sprechi.
ALTRE SCUOLE Altrove la situazione è meno marcata. Gabriele Sonzogni, dirigente al comprensivo Robecchi di Gambolò, spiega che «alla elementare di Gambolò viene preparato il pasto domestico, preparato a casa e consumato a scuola: sono 90 gli alunni che lo usano, ma non possiamo sapere se lo fanno perché la loro famiglia ha problemi a pagare la mensa o se in casa posseggono abitudini culinarie diverse dalla maggioranza. Gli altri 300 bambini mangiano il cibo della mensa: i gusti sono cambiati, ma da qui a dire che questo è indice di povertà alimentare non è proprio il caso, non ci sono le condizioni per affermarlo. L’inappetenza o l’appetito sono un segnale, non una sentenza». Pietro Chierichetti, dirigente al comprensivo di via Anna Botto di Vigevano, dichiara che «la mensa è un servizio del comune di Vigevano e al Ramella è parte del tempo scuola. Ci sono alcuni alunni che non riescono a pagare le rette della mensa. Un grosso problema è lo spreco: vediamo che viene avanzato molto e facciamo sempre attività per invitare il bambino a riflettere sul valore del cibo. Servirebbe anche a casa un’educazione alimentare, ma non me la sento di affermare che chi mangia di più a mensa mangia meno a casa».
Isabella Giardini