Israele-Palestina, la terra è il conflitto

Israele e Hamas hanno deciso di mettere in pausa la morte. Dopo 1200 vittime civili israeliane, oltre 14mila palestinesi e circa 2700 dispersi (fonte ministero salute gestito da Hamas), la mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti ha portato all’accordo tra le due parti: la liberazione di 50 ostaggi israeliani in cambio del rilascio di 150 prigionieri palestinesi e di una tregua di quattro giorni nei combattimenti. Dalla prossima settimana le armi potranno tornare a recitare la loro parte nel nuovo atto del conflitto israelo-palestinese, che è da sempre una questione di terra; ma quale terra? La Palestina storica si estende tra il fiume Giordano a est e il mar Mediterraneo a ovest, delimitata a sud dalla penisola del Sinai e dal golfo di Aqaba, mentre a nord i confini sono sempre stati più fluidi.

CONTESA E’ quest’area a essere reclamata tanto dagli israeliani quanto dai palestinesi, con entrambi gli schieramenti a rivendicare più territorio di quello previsto dal piano di partizione Onu del 1947. Anche la guerra in corso dal 7 ottobre tra Israele e Hamas, pur non coinvolgendo due stati, è combattuta per lo stesso motivo, visto che da un lato l’organizzazione terroristica vorrebbe cancellare lo stato ebraico e impossessarsi di tutta l’area che occupa e dall’altro lato il primo ministro Benjamin Netanyahu ha lasciato intendere che Gaza resterà sotto controllo israeliano; pur senza chiarire in che modo, si tratta del leader politico che più di tutti ha spinto gli insediamenti illegali di coloni in Cisgiordania, sottraendo spazio all’Autorità nazionale palestinese.

GERUSALEMME Sin dall’antichità la Palestina è stata contesa: la sua collocazione lungo le rotte commerciali tra Mediterraneo, mar Rosso e via della Seta ne rendeva strategico il controllo in assenza di un’autorità locale abbastanza forte da opporsi agli imperi che desideravano controllarla, dai babilonesi ai persiani, dai macedoni ai romani, dagli arabi ai crociati finendo con gli ottomani che ne conservarono il possesso fino al termine della prima guerra mondiale. Alla valenza economica nel frattempo si era aggiunta quella religiosa, cosicché la città vecchia di Gerusalemme è la raffigurazione plastica di questa lotta per il controllo, con le tre religioni monoteiste a disegnare tre geografie diverse in un’area ristretta: le vestigia del Secondo Tempio a fare da contrafforte alla Spianata delle moschee a breve distanza dalla basilica del Santo Sepolcro.

ALLARGAMENTI Ampliando lo sguardo in realtà non c’è accordo neppure sui confini fisici e neppure all’interno degli stessi popoli. Il “Piano sionista per la Palestina” del 1919 immaginava una “Grande Israele” sulla falsariga di quella che, secondo i testi sacri, avrebbe dovuto essere l’estensione territoriale del regno sotto Salomone, includendo tutta la parte meridionale del Libano, un’ampia fetta di Siria e tutta la Giordania a est della “strada dei re”, quindi la sponda orientale del Giordano e del mar Morto, Aqaba inclusa. All’epoca le principali aree di insediamento ebraiche erano in Alta Galilea, intorno al lago di Tiberiade, in Samaria, in Giudea e nei pressi di Gerusalemme. Il Piano non è mai stato portato avanti, anche se oggi Israele occupa comunque il 78% del territorio rientrante nella risoluzione Onu del ’47 a fronte del 56% che avrebbe dovuto possedere; di fatto le linee di passaggio attuali – impossibile parlare di confini – ricalcano quelle tratteggiate dal generale Allon nel suo piano del 1967 dopo la guerra dei sei giorni, a partire dal quale furono siglati gli accordi di Camp David nel 1978. Sotto il controllo dell’Anp avrebbero dovuto esserci la Striscia di Gaza – poi passata ad Hamas con le elezioni del 2006 – e la Cisgiordania, quest’ultima divisa in area A (pieno controllo palestinese), area B (condivisa tra israeliani e palestinesi), area C (controllo israeliano): un autentico mosaico a cui occorre aggiungere insediamenti e colonie israeliane, col risultato di rendere impossibile pensare a una continuità territoriale.

ASSETT Non è l’unico territorio conteso che Israele occupa. Se la penisola del Sinai è stata restituita all’Egitto, le alture del Golan non sono mai tornate alla Siria né c’è alcuna intenzione di restituirle, stante la loro importanza per l’approvvigionamento idrico in un territorio in cui l’acqua è risorsa scarsa e pertanto preziosa. Le altre “infrastrutture acquatiche” sono il già citato lago di Tiberiade, il fiume Giordano, il mar Morto, il punto più basso della terra con una salinità circa dieci volte superiore alla media mondiale. Oltre a questo, inutilizzabile, i mari a cui ha accesso Israele sono il Mediterraneo, su cui si affaccia la parte più urbanizzata e pianeggiante del paese, e il mar Rosso attraverso il golfo di Aqaba – su cui affacciano anche Egitto, Giordania e Arabia Saudita – a sud del deserto del Negev.

Giuseppe Del Signore

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