Il 2025 potrebbe portare con sé l’addio al test d’ingresso per la facoltà medicina. Una scelta per alcuni controversa, portata avanti dal ministro dell’Università Anna Maria Bernini per colmare la carenza di medici su tutto il territorio nazionale, come hai chiarito al momento della presentazione del disegno di legge in Senato lo scorso 16 ottobre:
Il fabbisogno di futuri nuovi medici è di 30mila professionisti i più nei prossimi sette anni […] In questo modo non solo investiamo nelle giuste aspirazioni dei nostri ragazzi, ma garantiamo anche una preparazione di qualità attraverso un’offerta formativa d’eccellenza.
LA RIFORMA L’obiettivo del Governo è concludere l’iter parlamentare in tempo per l’anno accademico 2025-2026, qualora la legge fosse approvata si tratterebbe di un cambiamento radicale per i futuri studenti di medicina e per le stesse università, che dovrebbero gestire un afflusso presumibilmente più alto di allievi. Per poter proseguire gli studi, così come poter accedere al secondo semestre, sarà necessario superare il cosiddetto “sbarramento” sul modello di quanto già avviene in Francia. Novità di questa riforma è la graduatoria di merito nazionale che “premierà” i primi 25mila studenti posizionati, dando di fatto diritto ad accedere al secondo semestre. Chi non rientrerà nella graduatoria otterrà dei crediti formativi che potranno essere “impiegati” in altri corsi di laurea, in modo da non perdere l’anno di corso.

STRATEGIA «Più che un’eliminazione del numero chiuso è uno spostamento di quest’ultimo dopo un semestre – commenta Alessandro Rubino, vicesegretario Fimmg Pavia – quindi è un bene che non venga tolto». Una novità che ha l’aria di «sembrare più una strategia ed esigenza comunicativa». Se da un lato l’addio al test d’ingresso può incentivare più studenti a iscriversi, dall’altro occorre saper coltivare la nuova generazione di medici. «Il vero problema all’interno del Sistema sanitario nazionale è dato dalla sbagliata programmazione nei dieci anni precedenti – aggiunge il medico di medicina generale – Il rischio di eliminare il numero chiuso sarebbe quello di creare un cosiddetto “effetto fisarmonica”, dove nel 2030, tempo di specializzazione dei futuri medici, ci troveremo ad affrontare non più una carenza, ma un’abbondanza di medici».
COLTIVARE Accanto ai numeri, fondamentali per calcolare il fabbisogno e non eccedere né nella direzione di formare pochi medici (l’errore del passato) né in quella di formarne troppi (il rischio con l’abolizione del numero chiuso), c’è poi il tema della qualità della formazione. «Altrettanto fondamentale è programmare un percorso per chi vuole formarsi in medicina. Andrebbe fatto un lavoro già a partire dal quinto anno di medicina, con dei corsi in strutture ad hoc in modo che lo studente capisca già qual è la sua vocazione». La passione per la medicina potrebbe allontanare sempre più studenti dalle altre facoltà sanitarie? «Credo che le altre facoltà sanitarie non siano penalizzate da questa riforma, anzi vi sarà un interscambio maggiore tra le professioni sanitarie, il che è sicuramente interessante. Nel primo semestre tutti gli studenti avranno esami comuni che non permetteranno solo di non perdere i crediti formativi, ma daranno la possibilità di conoscere maggiormente tutte le professioni sanitarie». Quello che il disegno di legge non affronta invece è il tema del post laurea: le migliaia di medici così formati – e su cui l’Italia avrà investito, le stime indicano 150-180mila euro per ogni medico nei sei anni di corso cui seguono quelli di specializzazione – andranno a occupare i vuoti del Ssn (a partire dalla medicina d’urgenza) oppure preferiranno settori più redditizi (chirurgia estetica) o stati più munifici nelle retribuzioni (dal Regno Unito ai paesi arabi, passando per gli Stati Uniti)?
Rossana Zorzato