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Ansie, paure, preoccupazioni sono spesso al centro di quel percorso di costruzione di una famiglia che, per una coppia credente, passa attraverso quell’itinerario di scoperta e di maturazione dell’amore che sboccia nel sacramento del matrimonio. L’insegnamento della Chiesa individua nella fecondità uno dei caratteri costitutivi della chiamata al matrimonio, al punto di indicare come capo di nullità del sacramento proprio il rifiuto della genitorialità. Come si concilia questo aspetto con il contesto attuale dominato da una denatalità che non è solo numerica, ma prima di tutto ideologica?
Al di là degli aspetti economici e sociali – spiega don Roberto Signorelli, direttore dell’Ufficio diocesano della Famiglia – a preoccupare è soprattutto la prospettiva di dover accompagnare ed educare nella crescita il figlio che si è messo al mondo.
QUALE EDUCAZIONE Un timore dunque di natura educativa di fronte «al clima di instabilità e di incertezza che la nostra società respira, con una significativa mancanza di punti di riferimento stabili». Questi diventano necessari soprattutto nell’aiutare a formare l’identità «aprendosi al confronto con la diversità che i vari modelli culturali ci pongono dinanzi». Si tratta quindi di «educare i figli alla formazione di una identità morale che sia capace di convivere e dialogare con altre prospettive diverse dalla propria». La Chiesa sempre, ma soprattutto in questo tempo di incertezze e di cambiamenti, sente il bisogno di farsi compagna di viaggio nel cammino della famiglia, soprattutto attraverso l’ascolto personale e le proposte di percorsi di preparazione alle nozze cristiane. Proprio qui, insieme all’ascolto della Parola di Dio e alla condivisione della propria storia come luogo nel quale si manifesta la bellezza di una chiamata all’amore, ci si confronta necessariamente con quella prospettiva, propria della visione religiosa della vita sponsale, che è l’apertura alla vita.
LAVORO E TEMPO Ma non è solo la dimensione educativa a preoccupare. Un aspetto significativo in tal senso è anche quello del lavoro. «A creare problema – prosegue don Signorelli – non è solo la mancanza di lavoro o di una retribuzione sufficiente, soprattutto l’impegno in termini di tempo che esso comporta. C’è la paura nei genitori di non poter dedicare sufficiente spazio ai figli nell’equilibrio di una giornata». Tuttavia questi due aspetti che, fra i tanti emergono significativamente nel confronto con le coppie, possono diventare una prospettiva interessante da cui ripartire. «Riscoprire la bellezza del tempo come dono ossia come un passaggio temporale che dal passato apre da un futuro che diventa segno di speranza». E, insieme a questo, «la prospettiva della maternità e paternità responsabile, che induce i genitori a fare un bilancio sulla sostenibilità del mettere al mondo un figlio, diventa, in un’ottica di fede, aperta a una fiducia che apre ad uno sguardo provvidente di fronte ai limiti e alle incertezze non immediatamente prevedibili».
don Carlo Cattaneo