«La vera sfida, per essere figli del Padre e costruire un mondo di fratelli, è imparare ad amare tutti, anche il nemico». Papa Francesco ha dedicato l’intera omelia della messa celebrata sabato scorso in Bahrain al tema della pace e della fratellanza. Parole che assumono un valore universale essendo state pronunciate nel corso del viaggio apostolico condotto nel piccolo regno del Golfo Persico – circa 1.7 milioni di abitanti che vivono in una superficie di 765 chilometri quadrati, quasi la metà della Lomellina – in gran parte di religione musulmana (circa il 70%).
E parole che guardano alla guerra in Ucraina come epicentro della «terza guerra mondiale», «che si combatte a pezzetti» sempre più prossimi a saldarsi, profetizzata dal pontefice sin dal 2014.
Un’interpretazione che è stato lo stesso Santo padre a fornire, sul volo di ritorno, quando ha approfittato di una delle domande della stampa «per lamentarmi»:
in un secolo, tre guerre mondiali! Quella del 1914-1918, quella del 1939-1945 e questa!
«Questa è una guerra mondiale, perché è vero che quando gli imperi, sia da una parte sia dall’altra, si indeboliscono, hanno bisogno di fare una guerra per sentirsi forti e anche per vendere le armi eh! Perché oggi credo che la calamità più grande che c’è nel mondo è l’industria delle armi». Il cammino che Francesco esorta l’umanità a percorrere è l’opposto e ha come destinazione la pace, una parola ostracizzata nei primi nove mesi del conflitto in Europa centrale, ma che sta conquistando uno spazio centrale nell’opinione pubblica dei paesi occidentali dopo l’intontimento della guerra ridotta a intrattenimento seriale, come dimostrano anche le due manifestazioni svoltesi nello scorso fine settimana a Roma e a Milano.
STRADA IMPERVIA Il Papa ha adottato, sin dall’inizio del pontificato, una posizione chiara arrivando a proporre di «abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia», intraprendendo la via della conciliazione, ma non per questo con una visione utopica. «Attenzione però – ha chiarito nel corso dell’omelia in Bahrain – lo sguardo di Gesù è concreto; non dice che sarà facile e non propone un amore sentimentale o romantico, come se nelle nostre relazioni umane non esistessero momenti di conflitto e tra i popoli non vi fossero motivi di ostilità. Gesù non è irenico, ma realista: parla esplicitamente di “malvagi” e di “nemici” (Mt 5, 38-43)». E conosce la natura umana: «anche dentro di noi, ogni giorno, si verifica uno scontro tra la luce e le tenebre, tra tanti propositi e desideri di bene e quella fragilità peccaminosa che spesso prende il sopravvento e ci trascina nelle opere del male». Tuttavia
la proposta di Gesù è sorprendente, ardita, audace. Egli chiede ai suoi il coraggio di rischiare in qualcosa che sembra apparentemente perdente. Chiede di rimanere sempre, fedelmente, nell’amore, nonostante tutto, anche dinanzi al male e al nemico
Una richiesta che, prima di riguardare le grandi sfide dell’epoca contemporanea, interessa «le situazioni concrete della nostra vita» e domanda «non di sognare irenicamente un mondo animato dalla fraternità, ma di impegnarci a partire da noi stessi, cominciando a vivere concretamente e coraggiosamente la fraternità universale». E’ il senso del «se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5, 39) per «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12, 21).
IMPEGNO COLLETTIVO Il passaggio successivo è «amare tutti», perché «possiamo impegnarci nell’amore, ma non basta se lo confiniamo nell’ambito ristretto di coloro da cui riceviamo altrettanto amore, di chi ci è amico, dei nostri simili, familiari». Nonostante «già amare il prossimo, amare chi ci è vicino, seppur ragionevole, è faticoso», questo non basta, lo chiarisce Gesù chiedendo «se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46)». Per Papa Francesco nel perseguire la pace è in gioco la piena realizzazione del comandamento dell’amore, che nella figura del “prossimo” arriva a includere il “nemico” e che contiene tutta la novità dell’annuncio cristiano: «Ciò, in realtà, significa scegliere di non avere nemici, di non vedere nell’altro un ostacolo da superare, ma un fratello e una sorella da amare».
Amare il nemico è portare in terra il riflesso del Cielo, è far discendere sul mondo lo sguardo e il cuore del Padre, che non fa distinzioni, non discrimina,
«ma ”fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5, 45)».
Giuseppe Del Signore