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Curare ed educare. Sono le due azioni che possono riassumere l’impegno dei cattolici al termine della 50esima Settimana sociale “Al cuore della democrazia”, svoltasi a Trieste dal 3 al 7 luglio con la partecipazione di oltre mille delegati, oltre mille giornalisti e la presentazione di un centinaio di “buone pratiche”. E’ significativo che entrambe facciano riferimento, anche solo metaforicamente, a due degli ambiti in maggiore sofferenza nel contesto italiano ovvero sanità e istruzione, che sono allo stesso tempo due terreni in cui si gioca molto della capacità di una comunità di non lasciare indietro nessuno e quindi, in ultima analisi, di essere tale. A individuare i due verbi sono stati gli ospiti d’onore della Settimana, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che l’ha inaugurata, e papa Francesco, che l’ha chiusa.
ANALFABETI E MALATI Il presidente Mattarella ha spiegato che «la democrazia non è conquistata per sempre» e per questo ha messo al centro l’aspetto della formazione, dal momento che – ha chiuso il suo discorso – «ogni volta si riparte dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole. Perché ciascuno sappia di essere protagonista della storia. Don Lorenzo Milani esortava a “dare la parola”, perché “solo la lingua fa eguali”. A essere, cioè, alfabeti nella società. La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più “analfabeti di democrazia” è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme». Un discorso in sintonia con quello del Santo Padre, che si è soffermato sul tema della cura: «La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo». Perciò, riprendendo l’immagine del “cuore”, «la seconda riflessione è un incoraggiamento a partecipare, affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato. È questo: a me piace pensare che nella vita sociale è necessario tanto risanare i cuori, risanare i cuori. Un cuore risanato. E per questo occorre esercitare la creatività. Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità». E ha fatto diversi esempi tra cui la partecipazione alle attività economiche di persone con disabilità, i lavoratori che rinunciano a diritti per impedire il licenziamento di colleghi, le comunità energetiche rinnovabili (frutto della Settimana sociale di Taranto del 2021), le politiche per le famiglie povere e la natalità, ma anche la scuola e l’abitare;
tutte queste cose – ha detto – non entrano in una politica senza partecipazione.
TERAPIE E PROGRAMMI Le due azioni, curare ed educare, in realtà nei discorsi di Mattarella e Francesco s’intrecciano e quasi si sovrappongono, se da un lato l’istruzione può essere vista come la “prevenzione” che consente di non ammalarsi, dall’altro la cura può essere assimilata a un “ripasso” o, dove la formazione è mancata, a una vera e propria “rieducazione”. «Possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito – ha dichiarato il pontefice – Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la costruzione e l’intelligenza mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questo è la cultura dello scarto. Il potere diventa autoreferenziale – è una malattia brutta questa –, incapace di ascolto e di servizio alle persone». Per questo, nelle parole del presidente della Repubblica, «nel cambiamento d’epoca che ci è dato vivere avvertiamo tutta la difficoltà, e a volte persino un certo affanno, nel funzionamento delle democrazie». Entrambi vedono una democrazia sofferente e per la terapia o programma educativo fanno riferimento a due personaggi della storia culturale e politica italiana del Novecento, Francesco ad Aldo Moro, per cui «uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità», Mattarella a Norberto Bobbio, al quale attinge per ricordare che «le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità ed eguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine, non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che queste possano, a loro volta, divenire maggioranza».
CATTOLICI Se questo è il processo da attivare, che ruolo hanno i cattolici? Il Santo Padre non ha dubbi, «come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata». In primo luogo occorre rifuggire dallo “assistenzialismo”: «L’ assistenzialismo, soltanto così, è nemico della democrazia, è nemico dell’amore al prossimo. E certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale». Nascondono «l’indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare». Occorre unire cura e istruzione, «questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile». Per il Papa è qualcosa che compete tanto ai politici quanto ai cittadini. «Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo; dietro al popolo per aiutare i ritardatari. Un politico che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico». Nondimeno anche i politici hanno bisogno di un contesto, che il pontefice propone di costruire prendendo a modello Giorgio La Pira, il quale «aveva pensato al protagonismo delle città, che non hanno il potere di fare le guerre ma che ad esse pagano il prezzo più alto. Così immaginava un sistema di “ponti” tra le città del mondo per creare occasioni di unità e di dialogo. Sull’esempio di La Pira, non manchi al laicato cattolico italiano questa capacità “organizzare la speranza”».
Questo è un compito vostro, di organizzare. Organizzare anche la pace e i progetti di buona politica che possono nascere dal basso. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani?.
CONSAPEVOLEZZA E’ quello che farà anche la diocesi di Vigevano col Programma pastorale per il biennio 2024-2026, come raccontato da L’Araldo lo scorso maggio. In sintonia con una forte consapevolezza emersa nella Settimana sociale di Trieste. Nelle parole del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, «i cattolici in Italia non sono e non vogliono essere una lobby in difesa di interessi particolari e non diventeranno mai di parte perché l’unica parte che amano e indicano liberamente a tutti è quella della persona, ogni persona, dall’inizio alla fine naturale della vita, senza passaporto. Non un amore qualsiasi ma quello che ci insegna Gesù». Per questo «siamo venuti qui pieni di voglia, carichi di esperienze sociali, di realtà non di studi o di laboratori» e «dopo questi giorni la voglia è aumentata: voglia di partecipazione, di rendere migliore questo mondo e di aiutare la democrazia viva del nostro Paese, dell’Europa, non quella del benessere individuale ma del bene comune». Dello stesso parere monsignor Luigi Renna, arcivescovo di Catania e presidente del Comitato scientifico e organizzatore della Settimana, il quale ha affermato che «abbiamo attinto all’inchiostro della democrazia per rinsaldare il legame tra storia e futuro. Risaltano due parole, traduzione concreta della Dottrina sociale della Chiesa e del suo magistero: partecipazione e persona, entrambe con la ‘p’ come la miglior politica, al servizio del bene comune, dell’Italia, dell’Europa, del mondo intero con lo stile della fraternità».
FINALE APERTO Si tratterà ora di tradurre nella pratica la riflessione maturata a Trieste, frutto anche dei dibattiti nelle “Piazze della democrazia” e nei “Villaggi delle buone pratiche”, alcune presentate nella pagina accanto, e per farlo occorrerà attendere la fine dell’estate. «A settembre – ha dichiarato mons. Renna – sarà reso noto ciò che è emerso dalle Piazze della Democrazia in termini di contenuti. Abbiamo intenzione di promuovere, nei prossimi mesi, tempi e momenti di confronto tra esponenti di vari schieramenti politici con l’obiettivo di favorire il dialogo tra le forze politiche su temi e argomenti che stanno a cuore a tutti. Le comunità cristiane sono sempre state luoghi, piattaforme dove ci si è impegnati per la vita degli altri. Ciò che è mancato per tanto tempo è stata la formazione, al senso civico, al bene generare il ben comune. Abbiamo voluto animare un pensiero che divenisse poi cultura». Tracciando «conclusioni che… non sono conclusioni» bensì «una semina di ascolto e confronto» da cui «raccogliere primizie di frutti che verranno». Frutti non “confessionali”: è stato per primo il presidente Mattarella a ripercorrere il ruolo del cattolicesimo nello sviluppo dello stato italiano a partire dall’Unità senza nascondere né le difficoltà iniziali connesse alla “Questione romana” né il contributo fondamentale nella scrittura della Costituzione e poi nei quasi 80 anni di storia repubblicana. Un ruolo animato dai verbi curare, all’indomani della seconda guerra mondiale e del ventennio fascista, ed educare perché, nelle parole di Francesco, «il tempo è superiore allo spazio e non dimentichiamo che avviare processi è più saggio di occupare spazi».
Giuseppe Del Signore