Contenuto riservato ai sostenitori de L'Araldo
«Superspot, poi il fischio d’inizio». E spesso il “superspot” è questa o quella agenzia di scommesse online. Fino al 2018 le più ricche campeggiavano sulle maglie dei principali club italiani, poi una legge le ha “relegate” agli spazi pubblicitari e ai cartelloni a bordo campo. Senza voler stigmatizzare il gioco in sé, non stupisce che Fagioli, Tonali e chissà chi altro si siano lasciati tentare e non sorprende l’emergere della ludopatia, che è una patologia riconosciuta dall’Oms e inserita nel Dsm, il manuale dei disturbi mentali.
La “società delle scommesse” è sempre più immersiva e nessuno ne è al riparo: il gioco d’azzardo, in tutte le sue sfaccettature fisiche e digitali, è sponsorizzato ovunque e proprio i più giovani (Fagioli ha 22 anni, Tonali 23) ci si trovano di continuo in contatto, in maniera esplicita o in maniera implicita, come nelle dinamiche di alcuni videogiochi che prevedono buste “da spacchettare” per trovare carte giocatore / oggetto (con un incentivo a scartare sempre più di queste figurine digitali, sportive o fantasy o sparatutto che siano), abbinamenti per il gioco online affidati ad algoritmi che hanno come obiettivo promuovere lo “engagement”, cioè aumentare le ore di gioco, e i cosiddetti acquisti “in-game” per ottenere miglioramenti altrimenti irraggiungibili. Meccanismi del tutto simili a quelli del gioco d’azzardo, che per i minori è vietato.
UNDER 1.8 Un divieto aggirato dal 45% degli studenti italiani nell’ultimo anno (fonte Espad). La “Relazione annuale al Parlamento sulle dipendenze” del 2023 indica che 1.5 milioni di ragazzi tra 15 e 19 anni ha giocato almeno una volta nella vita, 1.3 almeno una volta nel 2022. Sono 67mila quelli “problematici” (2.7% del campione), 130mila quelli “a rischio” (5.1%) ovvero che possono essere considerati ludopatici o prossimi a diventarlo. Del resto basta percorrere i corridoi di un qualunque istituto superiore per ascoltare discorsi sulle scommesse da piazzare nel fine settimana e sulle «bolle» andate in fumo per qualche pareggio nella serie c turca o australiana.
POPOLO DI SCOMMETTITORI L’Italia ha una passione particolare per il gioco d’azzardo che, sempre la Relazione indica che è stato praticato almeno una volta nella vita dal 62% della popolazione adulta (18-84 anni) e dal 43% nel corso del 2022, circa 20.5 milioni di persone. Perlopiù prevale ancora il gioco in luogo fisico (42%) rispetto a quello online (7.3%), con una preferenza per “Gratta&Vinci” (75%), Superenalotto (44%) e Lotto (28%), mentre sul web dominano le scommesse sportive. Ma quanti tra i giocatori sono a rischio? A livello lieve il 9.1% del campione, a livello moderato/severo il 4%, per un totale di 2.5 milioni di italiani con un profilo da poco a molto problematico. «Si tratta di giocatori che – si legge nella Relazione – ad esempio hanno giocato somme di denaro maggiori rispetto a quanto potevano permettersi di perdere, che hanno preso in prestito denaro o venduto qualcosa per realizzare somme destinate al gioco o che si sono sentiti in colpa per il loro modo di giocare o per le conseguenze del proprio gioco». A questo si aggiunge la correlazione positiva tra ludopatia e altre dipendenze: chi gioca tende più di frequente a bere, fumare, fare uso di droghe.
SUL TERRITORIO Oltre alla dimensione personale poi c’è anche quella sociale: quanta ricchezza disperde il gioco d’azzardo? Gli ultimi dati dell’Agenzia dei monopoli risalgono al 2019 e riguardano solo le piattaforme legali. In Italia presso esercizi fisici erano oltre 74.1 i miliardi giocati e 17.6 quelli spesi ovvero la perdita netta sottraendo vincite ed erario, cioè il 23.4%. Un quarto di quello che si punta evapora e il saldo è sempre negativo. Online le cifre erano più basse, 36.4 miliardi giocato e 1.85 speso. Cosa vuol dire a livello dei cittadini? In Lombardia nel 2020 la spesa pro capite è stata di 1446€, 1414 in provincia di Pavia, il 5% del reddito lordo medio provinciale. A livello di singoli comuni le cifre sono ancora più chiare: nel 2019 Vigevano ha perso 20.8 milioni di euro (su 81.4 giocati), Mortara 11.3 (su 49.7), Garlasco 5.2 (su 20.5), Gambolò 2.4 (su 9.2), Cassolnovo 1.6 (su 3.6), Cava Manara 1.2 (su 3.7), Mede 2.6 (su 8.6), San Martino addirittura 4.9 (su 31.9). Al di fuori della Lomellina a Pavia sono 29.4 milioni (su 134.1), a Voghera 23.6 (su 110.5). Quale vigevanese accetterebbe di pagare volontariamente una tassa annuale di 326 euro? Cosa si potrebbe fare con i 20.8 milioni raccolti? E questo ricordando che i dati riguardano solo gli esercizi fisici e solo il circuito legale e senza dimenticare il costo sociale del fenomeno, ancora più alto se si considera che, come indica Regione Lombardia,
l’accesso alle cure avviene molti anni dopo l’inizio dell’abitudine del gioco
in media 7 anni dopo, e che nel territorio provinciale non è presente un Centro per la cura del disturbo da gioco d’azzardo dell’Iss (sono 199 in tutta Italia, i più vicini si trovano ad Abbiategrasso, Trecate, Parabiago, Sant’Angelo Lodigiano; in Provincia sono attive però realtà del Terzo settore).
Giuseppe Del Signore