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Gli imprenditori non ci stanno a ridurre l’industria calzaturiera vigevanese e la filiera al caso Moreschi. «Sarebbe inaccettabile – dichiara senza mezzi termini Maria Vittoria Brustia, presidente zona Vigevano e Lomellina di Assolombarda e presidente di Assomac – legare il destino della produzione della scarpa a Vigevano alle vicende di una sola impresa o al numero di rivendite di scarpe in centro città». Questa lettura «fatta da alcuni organi di stampa in queste ultime settimane» non corrisponde al vero secondo Assolombarda, che per questo «insieme alla Provincia di Pavia, ha organizzato un tavolo di confronto sulle prospettive dell’industria calzaturiera che si terrà mercoledì 27 marzo e a cui sono invitati Regione, le organizzazioni di rappresentanza sindacale, le imprese».
SINERGIA Per gli industriali è il momento dell’unità. «Per la prima volta – conferma Brustia – parteciperanno anche le rappresentanze delle istituzioni e delle imprese di Parabiago, nel milanese. La situazione del comparto calzaturiero di Vigevano e della Lomellina è ben nota ad Assolombarda, che ha da sempre seguito da vicino il distretto e, con attenzione, alcune delle ultime, complesse, vicende industriali. C’è una situazione congiunturale complicata, ma la filiera è tuttora vivace ed energica nella risposta alle difficoltà». Per questo Assolombarda respinge l’atmosfera da “fine dei tempi” provocata dalla crisi di Moreschi. «Bisogna ricordare a tutti – precisa Brustia – che le scarpe prodotte a Vigevano si comprano nelle più grandi e prestigiose boutique del mondo, e non necessariamente dietro casa. Ricordiamo poi che la filiera, dietro la produzione delle calzature, è articolata, complessa, densa di specializzazioni industriali, di innovazione, di cultura d’impresa: si va dalla chimica alla lavorazione delle pelli, dalle macchine per il taglio, fino alle presse e agli stampi, dal design al marketing. Se non capitale della calzatura, Vigevano potrebbe ben ambire a essere capitale della sua filiera».
Contiamo che dal tavolo del 27 marzo esca un lavoro comune per valorizzare le straordinarie risorse e competenze esistenti nel distretto.
I PRECEDENTI Certo non sfugge che da anni si cerca di rilanciare la sorte della scarpa a Vigevano con pochi risultati. Una decina di anni fa sembrava imminente l’arrivo di un polo tecnico-professionale nell’edificio storico dell’ex macello. «Oramai è un’idea morta e sepolta» afferma seccamente Massimo Martinoli, titolare della Caimar, ricordando il periodo nel quale si parlava e lavorava per creare un Polo tecnico-professionale; Martinoli era referente di Anci (Associazione nazionale calzaturifici italiani) per il distretto vigevanese. Per l’industriale vigevanese è una ferita aperta: «Dispiace molto che un progetto di quella portata sia finito nel nulla. Anche perché eravamo riusciti a siglare un accordo tra comune di Vigevano, Fondazione di Piacenza e Vigevano e Anci. L’intento era diffondere la cultura scientifica, tecnica ed economica e l’innovazione metodologica e organizzativa, promuovendo e sostenendo la ricerca applicata nel settore calzaturiero. Ricordo che l’inizio dei lavori era stato fissato previsto per l’estate 2013, con l’auspicio di terminarli entro la fine del 2014». Un’occasione mancata, anche perché nel frattempo, continua Martinoli, «tutto è cambiato, occorre sottolineare che erano anche altri tempi, ma il progetto è stato del tutto dimenticato, adesso nessuno si ricorda dell’idea di quel polo né di come sono andate le cose. L’aspetto che stupisce di più è il fatto che il progetto è stato boicottato da vigevanesi che non avevano nessun legame con il settore calzaturiero: questo è veramente brutto, sembra che la città si affossi da sé. Un vero peccato».
Isabella Giardini