Tra Vigevano e Lomellina l’anno scolastico è iniziato con 538 cattedre vuote. La scuola italiana è ripartita da posti vacanti, competenze scarse degli studenti, dispersione scolastica alta e il territorio lomellino non fa eccezione. Queste tre criticità sono collegate tra loro e rappresentano la punta dell’iceberg del complesso universo scolastico, che a livello nazionale e locale si dimostra sempre più in sofferenza andando a colpire il sistema paese, in quanto si collega direttamente ad altre sfide quali l’impossibilità per le imprese di rintracciare profili professionali specializzati o l’emergere di un marcato disagio socio-economico giovanile, che si manifesta tanto in episodi di violenza e degrado urbano quanto nella difficoltà di raggiungere l’autonomia personale rispetto alla famiglia d’origine.
POSTI LIBERI Al primo settembre, il “capodanno” della scuola, l’Ufficio scolastico territoriale di Pavia per la Lomellina segnalava 200 cattedre libere e 332 ore nella secondaria di primo grado (le medie), 152 nella primaria, 110 e 611 ore nella secondaria di secondo grado (le superiori), 19 e 110 ore nell’infanzia. Un’istantanea in parte superata già in questi giorni perché nel frattempo l’Ust sta procedendo con le convocazioni di ulteriore personale e a breve anche le scuole potranno chiamare aspiranti docenti dalle graduatorie d’istituto, ma anche perché alcuni insegnanti che hanno accettato l’incarico nel frattempo sono stati destinatari di immissione in ruolo, una situazione che secondo la Uil riguarda il 30% dei posti in Provincia (circa 412). Di certo comune a tutti gli ordini scolastici è il buco alla casella “sostegno”, con 350 posti disponibili tra orari completi e spezzoni, il 65% del totale, a segnalare come le carenze di personale diventino immediatamente meccanismo di iniquità tra gli studenti, in quanto quelli che avrebbero diritto a una formazione specifica, con Piani educativi individualizzati a fronte di disabilità certificate e diritti riconosciuti per legge, sono gli stessi che restano scoperti, iniziano le lezioni senza il supporto di cui avrebbero bisogno e si ritrovano spesso a essere accompagnati da personale non specializzato nel “sostegno”. Alle medie ne mancavano 144, alle elementari 129, alle superiori 57, all’infanzia 20.
LE BASI In secondo luogo difettano i “prof” di italiano e matematica; nella secondaria di primo grado se ne dovevano reperire rispettivamente 38 (più 18 ore sparse qua e là) e 2 (23 ore da spezzoni), in quella di secondo grado 4 (più 2 con latino e 35 ore frazionate su cattedre incomplete) e 12 (con 55 ore “diffuse”). Lacune che sono ancora più gravi perché sono legate al declino delle competenze di base tra gli studenti italiani: «In italiano e matematica – ha scritto in luglio su Il Sole 24 Ore Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli – dopo 13 anni di scuola uno studente su due non raggiunge un livello di competenze minimo, valido per la vita». Una tendenza in atto da anni e accentuata dal coronavirus. «Le gravi perdite di apprendimento in italiano e matematica del 2021 e 2022 – ha argomentato Gavosto – specificamente imputabili alla pandemia, non accennano a ridursi. Non è per nulla sorprendente: neanche nell’immediata fase post-Covid la scuola ha messo in atto misure sistematiche per recuperare quello che non si era imparato nei difficili mesi del lockdown e della didattica a distanza. Tranne poche encomiabili eccezioni, non sono stati avviati corsi di recupero in estate, tutoraggi degli studenti più fragili, attività pomeridiane».
DISPERSI Tutte iniziative volte al contenimento della dispersione scolastica, un fenomeno che in Italia interessa il 13.6% di chi ha tra 18 e 24 anni a fronte di una media Ue che si attesta al 10% circa e di un target comunitario da raggiungere del 9%. A Vigevano e in Lomellina nell’ambito del Pnrr a questo è stato destinato oltre un milione di euro, suddiviso tra istituti tecnici e comprensivi, con i progetti che nella maggior parte dei casi saranno attivati nell’anno scolastico appena iniziato, 2023-2024, con attività di mentoring uno a uno, di recupero e rafforzamento delle competenze di base, di potenziamento dell’offerta formativa. Progetti la cui messa a terra rappresenta una sfida ardua per scuole che hanno organici ridotti e con posti vacanti; alla scuola servono skills sempre più specifiche e una formazione sempre più approfondita, ma fino a oggi si poteva diventare insegnanti un po’ per caso, un po’ per convenienza, soprattutto senza che nessuno verificasse le capacità didattiche e pedagogiche o fornisse una preparazione specifica al lavoro da svolgere in classe. Lo scorso 2 agosto è stato firmato un Decreto, atteso da oltre un anno e previsto dal Pnrr, che istituisce un percorso d’accesso alla professione. «Grazie a queste misure avremo una nuova generazione di insegnanti fortemente strutturati – ha commentato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara – con alle spalle un importante percorso di formazione disciplinare e pedagogica e meccanismi di valutazione che garantiranno l’efficacia didattica». Gli aspiranti docenti dovranno conseguire 60 cfu aggiuntivi, ridotti a 30 o 36 per chi ha un servizio di almeno tre anni o ne ha ottenuti 24 in base alle regole precedenti. Non manca qualche perplessità, secondo Gavosto «pressioni diverse, ma convergenti, spiegano la delusione: degli atenei, che puntano a fare ciascuno a modo suo, mentre è chiaro che un docente andrebbe formato allo stesso modo in ogni parte del Paese; dei sindacati, che premono per l’assunzione del maggior numero degli oltre 200 mila precari, senza troppo badare a quale sia la loro formazione e se le loro capacità didattiche siano state verificate con serietà».
Giuseppe Del Signore