Ucraina / Francesco chiama alla pace, ma domina «lo spirito di Caino»

Lo «spirito di Caino» soffia potente in Ucraina e nel resto del mondo.

Il mondo è in guerra e non da ieri né dal 24 febbraio, lo stesso papa Francesco nel 2014 volle sottolinearlo coniando l’espressione di una «terza guerra mondiale» in corso e «che si combatte a pezzetti, a capitoli».

Un concetto ribadito a più riprese, ad esempio nel 2020 in occasione della Giornata della pastorale sociale. «Diamo un’occhiata al mondo così com’è – disse in quell’occasione – guerre ovunque. Stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzi». Anche perché, ammoniva davanti al sacrario di Redipuglia a un secolo da Sarajevo,

la guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!

Un pensiero emerso in uno dei momenti di maggiore commozione, che ha ricordato proprio nel volo di ritorno da Malta: «Vi dico una cosa personale: quando sono stato nel 2014 a Redipuglia e ho visto i nomi dei ragazzi, ho pianto. Davvero ho pianto per amarezza». Tuttavia questi ripetuti appelli e la proposta di «abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia» finora non sono diventati un progetto politico e sulla terra hanno trovato più ascolto i cannoni.

SOFFIA IL VENTO Che si faccia riferimento all’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, alla “Caoslandia” coniata dalla rivista di geopolitica Limes, al Global Peace Index la mappa resta di fatto la stessa, un’area d’instabilità che avvolge buona parte del pianeta in cui quella che l’Europa occidentale ha interpretato come una pace universale durata dal 1945 al 2022 non è stata che un risultato precario e parziale, significativo proprio per la sua rarità, ma relativo a una parte ben precisa del mondo, tra l’altro una delle più piccole per dimensioni e popolazione. Se si allarga lo sguardo si incontrano contese civili, proxy wars, narco wars, insurrezioni, aree di crisi senza soluzione di continuità.

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la mappa di “Caoslandia” realizzata da Limes (fonte: Limes)

POPOLI CONTRO Partendo dalle prime, se ne combattono in Libia, Somalia, Afghanistan, Siria, Iraq, Darfur, Sud Sudan, Mali, Etiopia, Centrafrica, per citarne alcune cui si aggiungono rivolte quali quella nelle Filippine, in Malaysia, in Myanmar. Molte sono in corso da anni, quando passa l’ondata emotiva e si spegne l’attenzione dei media di solito sono derubricate come “a bassa intensità”, termine rassicurante, ma che non ha molto a che vedere con realtà in cui continuano a esserci morti e vittime della violenza. Lo è stata anche la guerra in Ucraina, scoppiata nel 2014 con l’occupazione della Crimea e la lotta dei separatisti nel Donbass, per poi proseguire sotto traccia e riesplodere in queste settimane.

CHIMERE Secondo alcuni analisti il conflitto avrebbe anche un’altra caratteristica molto comune ovvero di possedere una natura ibrida, un po’ aggressione di uno stato nei confronti di un altro, un po’ lotta armata “per procura” (proxy), tipo di evento bellico in cui le potenze si affrontano a distanza lasciando che le armi le imbraccino alleati regionali. Ne è un esempio quella nello Yemen, una delle più misconosciute in Europa – anche se paesi come l’Italia continuano a vendere armi ai contendenti – in cui dal 2015 si fronteggiano le forze lealiste contro quelle dei ribelli Huthi, in realtà sfida a distanza tra Arabia Saudita e Iran. Un altro scenario di questo tipo è quello libico, con Turchia, Russia, Francia, Regno Unito, Italia tutte impegnate a contendersi la ex “Quarta sponda” e uno dei nodi strategici delle rotte dei migranti.

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ALLE PORTE I conflitti lambiscono anche la “Europa felix” o la “Anglosfera”, sia perché le cause possono risalire al periodo coloniale – un caso di scuola è il genocidio del Ruanda del 1994 – o essere legati a maldestri tentativi di “regime change” (di nuovo è facile pensare alla Libia) o nascondere prove di forza a distanza, qui il riferimento alla Siria è d’obbligo, o ancora essere alimentati da “vizi” del mondo post-industriale (le guerre legate al narcotraffico in Messico e America centrale-meridionale) sia perché le conseguenze possono coinvolgerle, sotto forma di flussi migratori, di blocco all’export alimentare, di aumento del prezzo dell’energia o altro.

NIENTE PIAN(ETA) B Anche se i bombardamenti e le fosse comuni sono solo in televisione, gli effetti si percepiscono sempre più anche nei paesi di chi ha la fortuna di vivere in pace. E “Caoslandia” si sta avvicinando: da anni lambisce il Mediterraneo, il Messico, lo Xinjiang, adesso ha raggiunto l’Ucraina ed è ai confini dell’Ue, cosicché la campana suona sempre più forte. Nel 1991 la fine della Guerra fredda aveva fatto pensare a una presuntuosa «fine della storia», ma già nel 2001 con l’Undici settembre è arrivato il primo segnale che così non era, seguito dai conflitti in Afghanistan e in Iraq (2003), decisivi nel destabilizzare quel Medio Oriente che, secondo il Global Peace Index «è il fattore chiave del deterioramento globale della pace dal 2008». Anno della crisi finanziaria mondiale, che ha minato il welfare state e l’equità sociale nei paesi sviluppati, colpiti poi di nuovo dal coronavirus nel 2020, con una pandemia i cui strascichi socio-economici saranno più duraturi di quelli sanitari. Ora l’Ucraina è un nuovo rintocco, che pone di fronte a un bivio: cancellare la guerra dalla storia «prima che sia lei a cancellare l’uomo». Un progetto politico prima ancora che un’utopia.

Giuseppe Del Signore

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