Un tempo era la piazza Ducale, o la “Grande piazza”, come veniva chiamata all’epoca: era lì che, nei giorni della fiera, fin dalle prime ore del mattino mercanti e venditori esponevano le proprie merci. Verdura, frutta (tanto che la statua di San Giovanni era detta “d’la pumisela”, della mela in dialetto), pesci dalle pescosissime acque del Ticino, e ancora vino dall’Oltrepò, aceto dal Monferrato, olio da Genova, tessuti, chincaglierie, spezie e prodotti provenienti da posti ancor più lontani. D’altra parte fiere e mercati, e non solo a Vigevano, sono sempre stati i posti dove orizzonti opposti entravano in contatto e dove, tramite merci e denari, il mondo (quello fuori dalle mura rassicuranti della città) entrava letteralmente in casa.
I MERCATI Esporre merci per venderle è storicamente la funzione che gli esseri umani hanno attribuito a luoghi specifici: i mercati. Le fiere erano (e sono tuttora) qualcosa di diverso: occasioni speciali, con prodotti speciali. «È attestata sin dall’antichità l’esistenza sia di mercati permanenti al dettaglio nelle piazze centrali delle città, sia di mercati periodici che si tenevano una o più volte al mese (nundinae), sia di fiere a cadenza per lo più annuale che i Greci chiamavano panegyres e i Romani mercatus – spiegano Stefano Cristante e Francesco Filotico, rispettivamente professore e ricercatore dell’Università del Salento nel loro saggio “Le grandi fiere medievali e l’origine della merce moderna” – Queste ultime avevano luogo generalmente attorno a santuari ed erano collegate alla celebrazione di culti religiosi. […] Si ha notizia di almeno due grandi fiere “panitaliche” attive tra il II secolo aC e il I secolo dC: la fiera extra-urbana dei Campi Macri (nei pressi di Mutina, l’attuale Modena), probabilmente dedicata al commercio della lana e degli ovini, e la grande fiera cittadina di Cremona. Ne attestano l’esistenza Varrone, Tacito, Flavio Giuseppe, Cassio Dione».
COSMOPOLITA La fine dell’Impero romano d’occidente mette un freno importante agli scambi commerciali con il resto del mondo conosciuto: eppure i mercati non solo sopravvissero, ma svilupparono gli elementi che portarono poi alla nascita delle grandi fiere medievali. All’epoca, i mercanti erano soprattutto gente senza terra: i “siriani”, nome con cui erano definiti uomini e donne di origine orientale, gli ebrei, che trattavano vino, sale e il prestito di denaro, e coloro che del girovagare avevano fatto professione, eredi di pellegrini, lavoratori stagionali, soldati di ventura. Furono loro a dare l’impulso per quello che avvenne dopo l’anno Mille, quando le grandi aree commerciali europee diventarono sempre più interconnesse, grazie anche alle attività delle Repubbliche marinare italiche. E prima in Francia, poi nel resto d’Europa, le fiere ripresero vita. «Attraverso le iniziative degli uomini di commercio, motore dinamico della complessità medievale, la vita quotidiana del Nord e del Sud dell’Europa e del Nord e del Sud del Mediterraneo ha potuto contare su nuove mercanzie, acquistate e vendute sui banchi delle fiere. Grazie alle fiere, si sono accentuati i contatti con l’Oriente medio ed estremo – continuano Cristante e Filotico – Le grandi fiere medievali hanno determinato uno spazio culturale ampio e inedito, dove la sperimentazione di strumenti finanziari ad hoc si è intrecciata alle capacità di intervento politico dei signori territoriali, consentendo di dare vita ad appuntamenti dove risuonavano lingue e tradizioni diverse, e dove, in modo embrionale, prendeva forma una comunicazione in chiave europea adatta a una partecipazione cosmopolita».
TRE FIERE A Vigevano, quella contaminazione di lingue e odori diversi si poteva vedere ben prima degli anni di Ludovico il Moro: secondo quanto raccolto dalla Società Storica Vigevanese, nei documenti del 1200 si parla già di una “platea publica” ai piedi del castello dove svolgere le attività commerciali. Le tipologie di mercanzie ammesse al pubblico mercato sono varie: dal bestiame ai prodotti ittici, con l’obbligo anzi ai pescatori di cedere tutto il pescato del dì pena sanzioni da parte delle autorità. È nel 1532 che la città di Vigevano richiede al principe Francesco II Sforza, duca di Milano, di concedere alla comunità tre fiere annue, una “all’ottava di Pasqua”, una con inizio nella festa di S. Ambrogio e l’altra a S. Maddalena (il 22 luglio). Il duca, dopo qualche tentennamento (tre gli parevano troppe) acconsentirà: una consuetudine che, pur con il cambio di date, di location e, purtroppo, di attrattività, dura ancora oggi.
Alessio Facciolo