A trent’anni dalla pubblicazione di “Va dove ti porta il cuore”, diventato best seller internazionale, la Rassegna Letteraria di Vigevano, venerdì della scorsa settimana al teatro Cagnoni ha consegnato il Premio alla carriera a Susanna Tamaro.
LIEVE PROFONDITA’ Susanna Tamaro si è raccontata ad Ermanno Paccagnini che con la consueta maestria ha saputo interloquire con la scrittrice portando in luce tratti della personalità, aneddoti della sua vita, con lieve profondità, permettendo al pubblico di conoscere più approfonditamente lo scricciolo che sedeva di fronte a lui, che sembrava quasi voler sprofondare nella poltrona rossa. Inizia a parlare di sé. «Non sarei stata una scrittrice se non avessi amato le scienze naturali, penso ci sia relazione tra le scienze naturali e la scrittura perché in entrambi, non c’è giudizio – ha detto Tamaro – la mente naturalista è portata a raccontare storie. Io non sono una scrittrice sentimentale: parlare di sentimenti non vuol dire essere sentimentalista. Piango raramente, quando leggo qualcosa, ma se mi capita, quelle righe contengono la pietas».
STRAORDINARIE Una carriera iniziata nel 1989 con La testa fra le nuvole e poi proseguita con romanzi come “Per voce sola”, “Anima mundi” e “Ogni angelo è tremendo” in cui ha narrato personaggi di fantasia, ma anche eventi strettamente privati. In “Va dove ti porta il cuore”, suo grande successo, una nonna scriveva una lunga lettera alla nipote. «Ora sei tornata al romanzo epistolare – ha sottolineato Paccagnini – quasi per chiudere un cerchio, con “Il vento soffia dove vuole” in cui una donna decide di scrivere tre lettere, una a ciascuna delle due figlie e l’altra al marito, e di raccontare così il suo passato».
E’ così – ha risposto Tamaro – la protagonista dice alla nonna “ora ascolta la mia voce”. Ho voluto scrivere di donne che non sono riuscite a diventare famose, ma che sono state straordinarie per la loro intelligenza.
LA NATURA Ama molto i cani, Susanna Tamaro «sono la mia passione, la mia vita. Il cane ci offre la sua innocenza, a noi, che siamo sempre più soli. Sono animali sorprendenti, sanno molto di più, di noi rispetto a quello che noi conosciamo di noi stessi. Ho venti cani: con tutti ho un rapporto vero: loro capiscono tutto. Ho persino un cane in affido: non vuole lasciare la sua famiglia ma nemmeno rinunciare a me. Così lo porto da loro, ogni tanto, e lui così sta bene». «Adesso voglio scrivere della natura, delle stagioni, dal canto degli uccelli, della vita delle piccole creature dei boschi: vi piacerebbe leggere racconti di questo genere?» chiede al pubblico. Gli ritorna un “sì” corale. Il sindaco Andrea Ceffa con l’assessore Marzia Segù, accanto ad Ermanno Paccagnini ed Alessandra Tedesco le consegnano il Premio alla carriera, le dicono che è la prima volta, dopo i restauri, che al Cagnoni si consegna il Premio: «Davvero? Con me?» risponde, emozionata e grata.
a cura di Ig, Af, Rz.
1I “Canti di guerra” di Nazzi: «Turatello incastrato da una rapina a Vigevano»
Francis Turatello, “Faccia d’angelo”, il re della mala milanese, dietro le sbarre a causa del bottino rivenduto dopo una rapina in una villa di Vigevano.
MILANO NERA E’ questo uno degli aneddoti in salsa “ducale” raccontati sul palco del Cagnoni da Stefano Nazzi, giornalista de Il Post e tra i protagonisti della Rassegna Letteraria. La voce di Nazzi, famosa per essere quella narrante del podcast di true crime Indagini, è stata anche quella che ha guidato gli spettatori del teatro ducale attraverso i fatti di “nera” della Milano degli anni ‘70-’80, tema del suo ultimo libro “Canti di guerra”: «Sono stati anni feroci, i cui protagonisti amavano farsi vedere con auto e vestiti lussuosi, per costruire un’epica criminale». Con tanto di nomi di battaglia: “Faccia d’angelo” Turatello, “Il bel Renè” Vallanzasca, “Il Tebano” Epaminonda.
A VIGEVANO I tentacoli neri della mala metropolitana non di rado si allungavano anche sulla Lomellina: «Turatello finì in carcere dopo una rapina qui a Vigevano, la sua prima in una villa, su segnalazione di una cameriera – rivela Nazzi – poco tempo prima anche Renato Vallanzasca aveva tentato un’impresa simile. Qualcuno gli aveva detto che per tranquillizare i cani da guardia doveva essere nudo e farsi annusare. Così fece, ovviamente fallendo. Francis era più pratico: sparò ai cani». La refurtiva finì però nelle mani di un ricettatore che era anche un informatore della polizia: e così per Turatello si aprirono le porte del carcere.
FASCINO DEL MALE Quelle di Nazzi sono pagine dense ed evocative, fra bische e galere, scandite dal suono delle sparatorie: non c’è il rischio di rimanere affascinati dal male? «Quando frequenti tanto queste persone, e le loro storie, vengono fuori altri aspetti: anche un criminale ha i suoi amori, le sue passioni, può anche essere simpatico – spiega l’autore – ma non bisogna dimenticarsi che resta sempre un criminale».
2Gazzola, in Miss Bee l’omaggio a Christie
Alessia Gazzola sceglie la Rassegna Letteraria di Vigevano per presentare in anteprima il suo nuovo romanzo “Miss Bee”, in uscita il 19 novembre. Nonostante un sabato pomeriggio piovoso, lo scorso 26 ottobre la Cavallerizza era piena di spettatori pronti ad ascoltare la scrittrice siciliana, creatrice dell’amato romanzo “L’Allieva”, da cui è stata tratta la fortunata serie su Rai Uno.
Se devo dare degli indizi per il nuovo romanzo? – racconta Gazzola – Direi “teiera”, “paralumi” e “Inghilterra”.
Tre elementi che non possono che far pensare all’uggiosa terra inglese di Agatha Christie. «Posso dire solo che la nuova protagonista si chiama Beatrice, è figlia di un professore di italianistica a Londra e, strano ma vero, come passione ha quella di fare paralumi. – spiega, sorridendo la scrittrice – Sarà un romanzo ambientato nell’Inghilterra degli anni venti del Novecento, nella migliore tradizione Agatha Christie, un omaggio a un’autrice che io amo tantissimo». Laureata in medicina legale, Alessia Gazzola ha trasformato la sua passione per la scrittura in quella che ormai è la sua professione, grazie ad Alice Allevi, protagonista de L’Allieva. «Sono molto grata ad Alice e sono felicissima che sia un personaggio così amato – conclude la scrittrice siciliana – Lei è stato il mio punto di partenza, le va tutta la mia gratitudine».
3Vivere il tempo, l’augurio di Mario Calabresi
Imparare a vivere il proprio tempo in maniera diversa: è questo il tema centrale de “Il tempo del bosco”, l’ultimo libro di Mario Calabresi presentato di fronte a un Cagnoni gremito (tanto che l’ex direttore di Repubblica ha voluto immortalare il colpo d’occhio con il proprio smartphone). Un incontro divertito e a tratti informale, con Calabresi che, intervistato dalla giornalista Laura Pezzino, ha ripercorso la genesi del volume e la sua idea di fondo: ritagliarsi del tempo per fare ciò che ci fa stare bene. Tutto è nato dall’incontro con una ragazza, a margine di un convegno:
Mi ha parlato della sua vita, di come facesse tutto quello che doveva fare e di come non fosse mai abbastanza. Le ho dato una risposta semplice, ma nella quale credo: la vita non sono i 100 metri, ma una maratona, fatta di velocità e momenti diversi.
Partendo da questo spunto, nel suo libro Calabresi ha inserito persone e storie che sapessero dare risposta su come affrontare l’ansia di questi tempi, dove tutto è veloce e urgente: racconti di “famosi”, di sconosciuti, ma anche di persone che sono nel suo cuore e nella sua famiglia. Come la nonna, che grazie alla lavatrice ritrovò il tempo di leggere, e di Tonino, il nuovo compagno della madre, che gli insegnò come «pensare a qualcosa di fantasioso invece che solo ai doveri fa vivere meglio».
4Di Pietrantonio, traumi e memorie d’Abruzzo
Affondare le unghie nelle contraddizioni, nei traumi, nelle loro conseguenze. E’ questa la sensazione che si prova leggendo i romanzi di Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del premio Strega 2024 con “L’età fragile” che, intervistata da Alessandra Tedesco, ha chiuso la Rassegna Letteraria di Vigevano.
Il trauma caratterizza la mia letteratura: come molti che scrivono, rendo estremo ciò che mi ha riguardato.
Il riferimento è alla storia personale della scrittrice, nata in un Abruzzo rurale: «Ciò che più mi è mancato da bambina è lo sguardo di mia madre, sempre impegnata nei lavori in campagna: questo ha generato in me un senso di abbandono». Traumi personali sommati a quelli collettivi della sua comunità, la cui eco rivive ancora ed è stata di ispirazione per “L’età fragile”: il riferimento è al delitto del Morrone, il brutale assassinio di due escursioniste da parte di un pastore. L’Abruzzo, i traumi, i conflitti della maternità sono temi che rientrano spesso nella produzione di Di Pietrantonio, che rivela di come fare la scrittrice da bambina fosse un sogno impossibile: «Odiavo portare gli animali al pascolo con tutta me stessa – ricorda – in casa parlavamo solo dialetto, ma a scuola mi sono innamorata dell’italiano: avevo orecchio. E vedendo le poesie di Rosari mi dicevo, con presunzione: posso farlo anche io…».