120 anni di Araldo: intervista al direttore del Sir

Amerigo Vecchiarelli è il direttore del Sir, il Servizio informazione religiosa della Cei. Nel momento in cui L’Araldo compie 120 anni, come vede il contesto dell’informazione italiana e le sue prospettive?

«Da osservatore posso dire che la stampa in Italia funziona, va avanti, con un’offerta ampia che dà possibilità di scelta, ma dobbiamo poter approfondire quello che riceviamo, perché l’informazione sta diventando usa e getta. Il web è il canale più consultato dalle persone e uno strumento utile per collegarsi col mondo intero, il quale allo stesso tempo lascia poco tempo per approfondire. In media dedichiamo secondi, al massimo un minuto, alle notizie che riceviamo, eppure pensare che ci si possa accontentare è un pericolo. Senza dimenticare che accanto all’informazione buona ce n’è anche una superficiale, che non media tra il fatto e la gente, che non fornisce il maggior numero possibile di particolari e che dimentica le fonti, privando il lettore di un’opportunità importante. Credo che la nostra stampa sia indipendente, pulita, libera, certo magari alcune idee e situazioni ottengono un’eco più vasta di altre, ma offre comunque la possibilità di farsi un’opinione ampia ed equilibrata: è opportuno non accontentarsi di una sola fonte».

In questo quadro d’insieme dove si colloca la stampa cattolica?

«”Cattolica” è un aggettivo che attribuiamo per dire che deve essere attenta a tutto e capace di dialogare con tutti. San Paolo raccomandava: “esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Te, 5.21).

Questo è uno dei parametri su cui dovremmo orientarci, cercare ciò che è vero, ciò che è giusto. Per farlo occorre parlare di tutto, stare attenti alle sollecitazioni che arrivano dal tempo in cui viviamo, perché Dio vive nel mondo e c’è bisogno di vedere il mondo sotto la lente della Chiesa, senza chiuderci in noi stessi

– pur dando risalto a ciò che facciamo – dobbiamo essere aperti al mondo. Ricordando un aspetto che vale per noi in particolare e per l’informazione in generale: non si può essere equidistanti da tutti, è importante prendere delle posizioni su argomenti e temi su cui occorre essere “di parte”, cioè tutte le volte in cui bisogna difendere l’uomo e la persona, perché la nostra stampa deve essere diretta alla persona».

Come è possibile mantenere questo orientamento?

«Non possiamo fare a meno di confrontarci, Papa Francesco lo scorso anno ha espresso il desiderio e l’invito a ritrovarsi sul web come comunità (Messaggio per la Giornata mondiale per le comunicazioni sociali), capace di non annullare la propria opinione e di non emarginare nessuno. Per citare papa Paolo VI “a nulla servirebbe avere un magnifico strumento, se poi non lo sapessimo magnificamente adoperare”. E allora bisogna stare attenti alle fake news che sviano dalla verità, che ci portano fuori dal reale contesto con cui siamo chiamati a confrontarci. Questa è una sfida importante che tocca la pancia del paese e con cui dobbiamo confrontarci con i piedi ben piantati per terra, forti del nostro pensiero, della nostra fede e del nostro patrimonio culturale».

In cosa consiste la sfida di cui parla?

«Pochi mesi fa Tim Berners Lee scriveva che a trent’anni dalla nascita del web, accanto agli indubbi benefici, vi sono dei punti negativi, primi tra tutti la violenza e la capacità di isolare di un mezzo che al contrario dovrebbe metterci in relazione; se sono falsate, le relazioni non hanno fondamento. Io credo che ci sia solo un sistema per vincere la sfida, parlare della verità e nella verità, essere se stessi. Una volta usato il mezzo poi è auspicabile guardarsi faccia a faccia, che è molto di più che lanciarsi un’emoticon. Guardarsi negli occhi, raccontarsi i sentimenti, che non sono solo le ragioni».

Giuseppe Del Signore

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