Un uomo oltre la paura. Forse Francesco d’Assisi non sarebbe felice di una festa nazionale a lui dedicata. Rivoluzionario, prima di esser santo, laico (non volle mai diventare sacerdote), anticonformista, antitradizionalista, ostile alla cultura (eppure colto), ma soprattutto coraggioso. Chi è l’uomo per cui il Parlamento ha stabilito un riconoscimento tanto importante (che nel 2026 cadrà di domenica e sarà “effettivo” solo nel 2027)? Sulla “questione francescana” sono state scritte migliaia di pagine, allora forse è possibile darne una lettura diversa a partire da un libro non dedicato a lui, ma scritto da una delle sue più grandi studiose. In “Paure Medievali” la medievista Chiara Frugoni si concentra su ciò che spaventava donne e uomini del Medioevo, stretti in una precarietà che oggi è difficile immaginare.
LA LEBBRA La paura della fame e della miseria, del diverso in una società in cui tutti o quasi erano cristiani, delle malattie in una cultura in cui ammalarsi era il segno del peccato. Francesco emerge come colui che supera queste paure. Su tutte la lebbra, che era forse la principale: il volto sfigurato, gli arti mutilati, chi ne era affetto doveva segnalare il suo arrivo suonando una campana o delle nacchere per permettere a tutti gli altri di evitarlo. Nel Medioevo la vita era comunitaria e l’esistenza si definiva all’interno di una comunità, avere la lebbra voleva dire essere posti al di fuori della società, “scomunicati”, condannati di fatto alla morte civile. Anche perché chi ne era colpito era punito a causa dei suoi peccati mortali; Frugoni cita il “Tristan” di Béroul (XII secolo), quando re Marco si appresta a punire la moglie adultera Isotta interviene Ivano, «il più odioso a vedersi» dei lebbrosi: «Dacci Isotta e che ce la godiamo in comune! Il male accende i nostri desideri. Dalla ai tuoi lebbrosi! Mai una dama farà fine peggiore. Guarda, i nostri stracci sono incollati alle piaghe che colano. Lei, che vicino a te si compiaceva delle ricche stoffe foderate di vaio, dei gioielli, delle sale di marmo […]
quando vedrà la corte dei lebbrosi, quando dovrà entrare nei nostri tuguri e giacere con noi, allora la Isotta la Bella, Isotta la Bionda, riconoscerà il suo peccato e rimpiangerà questo bel fuoco di rovi.
CONTATTO La repulsione che si intuisce in queste righe è la stessa di Francesco, come ad esempio la racconta la “Leggenda dei tre compagni”: «Mentre un giorno cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso […] Facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano […] Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo […] Confidava lui stesso che guardare i lebbrosi gli era talmente increscioso, che non solo si rifiutava di vederli, ma nemmeno sopportava di avvicinarsi alle loro abitazioni». Lo afferma lui stesso nel “Testamentum”: «Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse da loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo; in seguito stetti un poco e uscii dal secolo». Francesco, nelle parole di Frugoni, «si vergogna del proprio comportamento e riesce a vincersi». Eppure «il tema di Francesco con i lebbrosi non ebbe alcuna fortuna iconografica. […] Negli affreschi di Assisi Francesco non incontra alcun lebbroso».
SCONCERTANTE Scandaloso, Francesco, anche per i suoi frati e infatti dovette riscrivere la sua Regola per vederla approvata, la prima versione era considerata troppo dura. La fraternità che aveva fondato fu attraversata da forti dissidi già mentre lui era in vita, tanto da spingerlo a lasciarne la guida. In particolare i frati dibattevano su istruzione (Antonio da Padova potè studiare), proprietà (da accettare come comunità), vita mendicante o lavoro manuale. Francesco vedeva nella cultura una forma di potere e come tale la avversava, pur essendo istruito e pur avendo scritto il primo testo della letteratura italiana: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, / da la quale nullu homo vivente pò skappare: / guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; / beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, / ka la morte secunda no ‘l farrà male». Di fronte a un uomo capace di scrivere queste parole sulla morte, si comprende perché – nelle parole dello storico Jacques Le Goff – quando da Assisi si reca a Roma per la prima volta,
Innocenzo III ne è sconcertato, ma poi sogna la basilica del Laterano inclinata e “un religioso piccolo e brutto accorrere per sostenerla con la schiena”.
GLI INFEDELI Sarà un altro papa ad approvare la Regola francescana, Onorio III nel 1223. Nel frattempo Francesco aveva sfidato un’altra paura, quella del diverso. Nel 1219 è a Damietta in Egitto dove si propone «di raggiungere la conciliazione con i musulmani attraverso il Vangelo». Nella Regola non bollata un intero capitolo è dedicato «alla condotta dei frati tra i musulmani»: «I francescani dovevano vivere in mezzo a loro in serena armonia, “senza liti e dispute”, mostrando finalmente il volto, non del cristiano nemico e in armi, ma del portato di un messaggio di amore e pace». La sfida al sultano Malik-al-Kamil davanti alle fiamme ritratte negli affreschi della basilica di Assisi è un’invenzione iconografica successiva, voluta da san Bonaventura, il primo a costruire un’immagine ufficiale del “poverello d’Assisi”. Che però è anche giullare, alter Christus, novellus pazzus, irriducibile a una sola immagine. Chi ne vorrà visitare le spoglie mortali potrà farlo ad Assisi dal 22 febbraio al 22 marzo prossimi in occasione dell’800esimo anniversario della morte, chi ne volesse cercare lo spirito deve volgersi a tutto ciò che oggi «sembra troppo amaro».
Giuseppe Del Signore