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Regionali 2023 / No, le regionali non sono Sanremo

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ITA TL Sanremo 2020 red carpet
Sanremo 2020 red carpet

Difficile trarre conclusioni generalizzate da elezioni alle quali hanno partecipato 4 lombardi su 10, 1 vigevanese su 3, 1 bremese su 4.

Ci sono alcuni punti fermi: la vittoria del centrodestra certo, una consuetudine della Lombardia a prescindere dalla partecipazione, la riconferma di Attilio Fontana, il consolidamento di FdI come prima forza del sistema politico, la scomparsa dell’opposizione in Provincia.

E alcuni segnali che sono più difficili da decifrare, a partire da astensione, stato di salute dei partiti, ruolo dei giovani.

GLI ASSENTI Sembrerebbe logico partire da quello che viene definito spesso il “primo partito”, l’astensione,

ma il silenzio non è pensiero politico: esprime disinteresse? Dissenso? Critica? Delusione? Aspettative tradite? Distrazione? Sfiducia? Semplici pigrizia e noia? Per dirla con la semiotica, l’astensione non è un testo e quindi non è una porzione di mondo che si possa sottoporre ad analisi. Oppure forse perché è composta di tanti testi, troppi, al punto che la classe dirigente non sa più leggerli:

non solo la politica, ma anche il mondo della cultura, dell’informazione, dello spettacolo. Secondo le analisi di Quorum / YouTrend per SkyTg24 l’astensione è stata

trasversale a livello sociodemografico

Anche se Opinio la rileva alta tra gli under35, che ad esempio in Lombardia hanno dato la maggioranza a Majorino e premiato Moratti a discapito di Fontana, il disimpegno non è stato di una categoria (i disoccupati, le partite Iva, i dipendenti, i laureati, chi ha la licenza media), ma diffuso, nonostante in una società fluida il “richiamo all’azione” funzioni: per fare un esempio profano, Sanremo ha avuto 12.3 milioni di spettatori (66% di share) negli stessi giorni in cui il 60% degli aventi diritto si disinteressava delle elezioni per un’istituzione che è centrale nella vita degli italiani, ad esempio nel campo della sanità.

DIFFERENZE Una prima differenza tra Sanremo e le elezioni è che nel primo caso si sceglie chi votare, non solo la categoria musicale, ma anche il cantante, e si può farlo senza fatica dal divano di casa: quanti sono i fuori sede che, nel 2023, vedono ostacolato il diritto di voto perché gli si chiede un proibitivo rientro nel comune di residenza? Certo le regionali, dal punto di vista della scelta, sono un esempio virtuoso grazie alle preferenze, ma un conto è che sul palco ci sia Mengoni un conto è che canti uno sconosciuto:

non è un caso, per citare solo un esempio, che la Lega e Fi riescano a tenere botta a FdI solo a Vigevano e Garlasco, dove hanno schierato figure note e non comprimari sconosciuti.

Una seconda differenza sta nel prodotto offerto: il direttore artistico Amadeus ha selezionato 28 profili andando a costruire una proposta che, nel complesso, i telespettatori hanno premiato; nessuno avrà gradito tutto, ma quasi tutti hanno trovato un artista che gli comunicava qualcosa, mentre i segretari non devono essere stati altrettanto convincenti con le loro scelte visto il dato dell’astensione. Una terza differenza riguarda i media e la rappresentazione della realtà; in tutta evidenza ha torto sia chi raffigura una società “modello Sanremo”, se poi vince il centrodestra che lo contesta radicalmente, sia chi pensa di contestare questo modello a nome della maggioranza degli italiani, visto che tra molti degli elettori che gli hanno consegnato la vittoria si celeranno pure spettatori del Festival, che forse riescono ancora a distinguere uno spettacolo, con i suoi eccessi semplificatori, dalla realtà, più complessa.

MEMENTO Passando proprio ai vincitori, il centrodestra si è imposto di larga misura rispetto alla platea dei votanti, a vincere è soprattutto il partito di Giorgia Meloni, che da solo vale quasi metà della coalizione ed è l’unico a guadagnare non solo peso relativo, ma anche assoluto nel confronto con le regionali del 2018. FdI ha drenato una parte dei voti persi da Lega e Fi, anche se il numero di quelli guadagnati (0.53 milioni) è un terzo di quelli persi dai due alleati (1.61). Proprio per questo chi scende pare lanciare un monito a chi sale: in un’epoca di elettorato fluido (in quando mobile e in quanto in disimpegno) il consenso può essere effimero; la sobrietà della festa meloniana potrebbe essere un segnale di consapevolezza di questo e del fatto che un partito cresciuto in pochi anni in maniera esponenziale corre il rischio di affidarsi, sul territorio così come in posti chiave, a “personale” poco qualificato a cui il consenso elettorale consegna grandi onorificenze e grandi responsabilità.

GLI SCONFITTI Che la consapevolezza possa arrivare anche dalla sconfitta invece è tutto da dimostrare, soprattutto se si considera che il campo delle opposizioni aveva già sperimentato quale fosse il risultato di presentarsi separati. Dopo aver perso ogni rappresentanza alle elezioni politiche di settembre, ora si aggiunge l’assenza di consiglieri eletti in Regione a fronte dei due uscenti. Non era mai accaduto. E non si può dire che il Pd non abbia schierato candidati all’altezza, visto che hanno totalizzato appena 1459 preferenze in meno di FdI arrivando a quota 9881, ma l’operazione del M5S e di Azione-Iv, che speravano di erodere il consenso dei dem alle prese col congresso e con la ricerca di un’identità, alleandosi solo nelle Regioni in cui i sondaggi sconsigliavano di correre da soli, è stata un fallimento. Tanto basta per tornare a parlare di alleanze e di campo largo? Difficile crederlo, anche se un segnale arriva proprio dai tanti territori come Vigevano e la Lomellina, dove da tempo almeno Pd e M5S dialogano senza troppe difficoltà, sia pure ancora con scarsi risultati.

Giuseppe Del Signore

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