Certe decisioni, più che annunciate, parlano da sole. Quando papa Leone XIV ha scelto di prendersi un giorno alla settimana per lasciare il palazzo apostolico e dedicarsi soltanto alla lettura e alla preghiera, non ha semplicemente ritagliato uno spazio nel calendario: ha lanciato un messaggio forte, forse il più urgente per il nostro tempo. Ha ricordato che il tempo del prete non è un’agenda da riempire, ma un luogo da abitare.

Da troppo tempo, infatti, ci muoviamo tra due immagini distorte del sacerdote: da una parte il prete iperattivo, che non si ferma mai e misura la propria fedeltà al Vangelo in ore di impegni e iniziative; dall’altra, la figura malinconica di chi vive in una piccola parrocchia e non sa come riempire le giornate. Due caricature opposte ma figlie della stessa radice: una gestione malata del tempo, che da un lato banalizza il ministero e dall’altro lo svuota. Eppure il tempo appartiene alla vocazione stessa del sacerdote. Nel giorno dell’ordinazione, quando promette il celibato per il Regno, egli consegna a Dio non solo la sua affettività, ma tutta la sua persona – e in essa anche il tempo. Il celibato non è una semplice rinuncia, ma una consegna di sé, perché ogni ora, ogni gesto, ogni respiro appartengano al Signore per la salvezza dei fratelli. Per questo il tempo del prete è un tempo abitato, mai vuoto. Il vuoto può assumere molte forme: c’è quello della mancanza di attività, che diventa smarrimento e apatia, e quello dell’iperattività, dove Dio non trova più spazio perché il rumore delle cose lo soffoca. L’uomo non sopporta il vuoto e cerca subito di colmarlo: se non è Dio ad abitarlo, vi entrano la vacuità, la mondanità, o quel sottile veleno del pettegolezzo, che corrode la fraternità sacerdotale e finisce per inquinare la vita della Chiesa.
In questo senso, il gesto di papa Leone è una piccola rivoluzione: rimettere Dio al centro non aggiungendo attività, ma restituendo respiro al tempo. È la logica antica della Scrittura: «Consacra al Signore le primizie del tuo lavoro, perché tutto il tuo lavoro sia benedetto». Dedicare un giorno alla preghiera non significa sottrarre tempo al servizio, ma santificarlo. È come restituire la chiave di tutto a Colui che solo può dare senso a ogni cosa. Il segreto non è fare di più, ma tornare alla sorgente. Quando il sacerdote ritrova il suo centro in Dio, anche le altre relazioni — con i fedeli, con i confratelli, con se stesso — si riordinano naturalmente. Il tempo non pesa più, diventa spazio di grazia. Forse è questo che Papa Leone ci insegna, senza proclami: che la santità passa anche attraverso un’agenda convertita, un’ora restituita al silenzio, un giorno lasciato libero per lasciarsi riempire da Dio. Lo aveva intuito quel poeta francese, Jean-Pierre Lemaire, nella poesia Prends ton temps — Prendi il tuo tempo:
“Prends ton temps, c’est lui qui te prend, et dans ses mains il façonne ton âme.” “Prendi il tuo tempo: è lui che ti prende, e nelle sue mani plasma la tua anima.”
Saper prendere tempo è forse il segno più luminoso di chi ha capito davvero la propria vocazione: non essere padrone del tempo, ma dimora del Dio che lo abita.
don Carlo Cattaneo



