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L’Intervista / Titti Campaci, con il Casale nel cuore

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Antonella “Titti” Campaci, storica segretaria del Casale, dopo 40 anni di servizio è andata in pensione. Ci racconti della sua esperienza.

«Al Casale ho conosciuto delle persone meravigliose: a partire dagli operatori scolastici, gli assistenti tecnici, che fanno funzionare tutti i computer; la segreteria amministrativa, che riesce a portare avanti tutta questa macchina burocratica, con la Dsga Maria Grazia Salvadeo, sempre immersa in conti; i docenti, che hanno una missione dentro il loro cuore, perché si trovano davanti ragazzini da cui devono estrapolare tesori che loro hanno dentro, e nel mentre dargli competenze e conoscenza, per poi arrivare al dirigente scolastico, che preferivo quando si chiamava “preside”, perché questa parola rendeva bene l’idea del ruolo importante che è. Di dirigenti ne ho conosciuti tanti. In particolare il preside Angelo Secchi: è grazie a lui che si è aperto l’indirizzo di ragioneria e programmazione. Poi la preside Maria Grazia Dallera, che è stata lì tanti anni ed è riuscita a fare il laboratorio di informatica. Tra gli ultimi presidi abbiamo avuto Stefania Pigorini, che è stata una preside eccezionale, e l’attuale preside Elda Frojo, che ha lavorato qui prima come insegnante, anche lei bravissima. Secondo me l’istituto Casale è ancora una scuola bella, buona, valida, che riesce a dare tanto ai ragazzi, soprattutto con l’accoglienza».

In cosa consisteva il suo lavoro?

«Io mi occupo della parte degli alunni, per cui le iscrizioni, tenere aggiornato tutti i programmi, il Sidi, che è il sito del ministero della Pubblica Istruzione, inserire i dati, le statistiche, gli esami di Stato, le lettere di richiamo, le sospensioni. Inoltre devo ringraziare il professore Mario Pazzi, docente di matematica, che mi ha insegnato come fare l’organico delle classi».

Negli anni che rapporto ha costruito con la popolazione scolastica?

«Il rapporto con i dirigenti scolastici è sempre stato ottimo, non ho mai avuto problemi. Con gli insegnanti ho un rapporto altrettanto positivo, anzi con tanti sono riuscita a costruire rapporti affettivi ai quali voglio molto bene e so che anche loro me ne vogliono. Gli alunni, dovunque vado, mi salutano tutti e mi mandano un sacco di baci. Con gli operatori scolastici è sempre andato tutto molto bene. Per tanti anni hanno lavorato con me Luigina Bracchi, Rosanna Achilli, Gianluigi Negrini e Claudio Volpati, messi insieme formavamo un bel gruppo. Ora invece le persone cambiano di anno in anno; solo due segretarie amministrative ci sono da alcuni anni: Giusy e Roberta».

Come sono cambiati i ragazzi negli anni, cosa in meglio e cosa in peggio?

«Io mi ricordo che un tempo i ragazzi venivano con il gilet e la cravatta, le ragazze invece con le gonnelline. Col tempo si sono sempre più omologati, con felpe e jeans. A parte questo, non sono cambiati, sono sempre pieni di sogni, di desideri, di voglia di fare, soprattutto quando passano dalla classe seconda alla terza che maturano e cominciano a diventare più consapevoli di quello che ricevono dai loro docenti e quindi la voglia di studiare e di emergere si fa sempre più fitta. Purtroppo dopo la pandemia hanno subito tanto le conseguenze, per cui adesso possono sembrare più fragili e vanno supportati un po’ di più».

I docenti invece come sono cambiati?

I docenti sono sempre validi, danno molto. Ora hanno a che fare anche con tante cose burocratiche. Ai tempi insegnavano con la porta aperta e non c’era nemmeno un minimo rumore, tutti in silenzio.

Lei come ha vissuto il periodo di pandemia?

«Io ero l’unica che durante i lockdown andava a scuola e quando suonava la campanella c’era il silenzio più totale, era tutto deserto, ero sempre abituata allo schiamazzo, alle risa, i ragazzi che corrono, scendono, salgono, i corridoi pieni, quindi è stato proprio brutto».

Qual è stato l’aneddoto più divertente che ha vissuto in questa scuola?

«C’erano docenti che ogni tanto partivano con i compiti di classe sul tetto della macchina. Ricordo poi che c’erano alcuni ragazzi che imitavano veramente bene e all’epoca in presidenza c’era un macchinario con delle levette che, se si tiravano giù, si sentiva in tutte le classi, tipo il megafono. Una mattina un alunno, che imitava benissimo il preside, è entrato e ha fatto un annuncio dicendo di andare a casa, ma non è stato mai sospeso per questo: tanti anni fa non si usava la pratica che si usa adesso, con la convocazione del consiglio di classe, e quindi c’erano meno sospensioni. In passato gli scrutini erano più lunghi e si finiva la sera tardi, mentre adesso con tutti gli strumenti a disposizione, si fanno in mezz’ora. Si è, dunque, persa un po’ di discussione».

Quando la scuola la ha fatta piangere?

«Mi ha fatto piangere di commozione ed emozione. Quando vedi alcuni alunni che ce l’hanno fatta e che magari sono diventati qualcuno nella vita. Quando abbiamo fatto una festa, grazie alla preside Dallera, nel cortile della scuola, per cui io ero lì a vigilare, mi sono commossa. E’ successo anche quando sono andata in pensione e mi è stata fatta una “festa” a sorpresa. Purtroppo sono successe volte in cui ho pianto anche per persone che se ne sono andate, come per Evelina, che ha gestito il bar per tanti anni, e il professor Rosa».

Quando è stata organizzata la festa di “addio” per la fine di un capitolo, che emozioni ha provato? Se le aspettava?

«Sapevo che sarei dovuta salire sul palco dell’Odeon per ricevere un mazzo di fiori, ma non sapevo della canzone che mi hanno dedicato e non mi aspettavo l’ultimo giorno di scuola, quando con un trucco mi hanno fatta scendere a bere un caffè con l’ascensore e mi è sembrato strano in quanto sarei dovuta andare solo al primo piano. La professoressa Gioiosano, vicepreside e persona molto in gamba, continuava a parlare per distrarmi, per non farmi vedere che schiacciava il tasto “4”, e come si sono aperte le porte ho trovato tutti i ragazzi in corridoio, con cartelloni, applausi, baci, insomma è stato veramente bello».

Qual è la parte della scuola, tra studenti e colleghi che le manca di più?

Mi manca tutto della scuola, infatti tutti i martedì vado ancora ad aiutare. La cosa che però più mi manca è il sorriso dei giovani, perché sono stupendi.

Se dovesse rivivere un’altra vita, rifarebbe l’esperienza lavorativa al Casale?

«Sì, la rifarei. Ho ricevuto tantissimo da questa scuola e ho migliorato la pazienza, le competenze, l’allegria».
Nell’arco della sua vita lavorativa ci sono state delle figure significative?
«Alcuni presidi, che mi hanno dato tanto, e, appena arrivata a scuola, c’era Luigina Bracchi, segretaria della didattica, che mi ha sgridato molto, insegnandomi altrettante cose».

Quali sono i luoghi a cui è più legata al Casale?

«La segreteria, le classi, dove entravo per assegnare l’elenco degli alunni e tutti si alzavano in piedi, scambiandomi per la preside, e il bar, gestito all’epoca da Evelina e Franco, due persone meravigliose, e ora da Denise e Maurizio, persone eccezionali, che accolgono con molto affetto tutti i ragazzi e nel mentre nutrono».

Quali sono le cose di cui avrebbe bisogno la scuola italiana?

«Meno burocrazia, più soldi per poter essere all’avanguardia e anche per stare al passo coi tempi e strutture un po’ più moderne».

E’ nota per essere una persona calma, anche quando avrebbe potuto perdere la pazienza: come mai?

«Credo faccia parte del mio carattere. Io capisco che ogni tanto arrivano genitori furiosi, però, quando da cittadino, ci si reca in un ufficio e ci si trova davanti una persona che crea un muro, le cose si complicano. Al contrario, se ci si trova una persona sorridente, che cerca di stemperare, automaticamente anche l’altra si tranquillizza e si arriva a un accordo. Sorridere serve sempre».

Cos’è la scuola?

«La scuola è un posto meraviglioso, pieno di tesori, tutti da scoprire, dove tutti danno un qualcosa: c’è chi dà e allo stesso tempo riceve. Di certo non sempre è tutto rosa e fiori. Io per esempio ho conosciuto alunni che facevano da genitori, e la scuola li porta a maturare e a crescere. In un istituto ci sono lacrime, gioie e dolori: la perdita di un genitore, il primo innamoramento. L’istituto Casale ha, poi, la fortuna di avere un bar».

Ora che è a casa in pensione e che quindi ha più tempo libero, ha qualche hobby a cui più si dedica?

«Per ora gioco a burraco e mi godo il meritato riposo».

Giulia Beretta

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