Home Primopiano I genitori restano: «Vorremmo le stesse opportunità qui»

I genitori restano: «Vorremmo le stesse opportunità qui»

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Giovani all'estero - aereo in atterraggio

Per ogni persona che parte, c’è una famiglia che resta. E che si trova a combattere non solo con tutte le difficoltà di chi ha un figlio o una figlia lontani, ma spesso anche con l’amarezza che, in un’Italia diversa, forse non se ne sarebbe mai andato. Luisa e Fabrizio nell’estate del 2018 hanno visto loro figlio, laureato in Farmacia, partire per gli Stati Uniti, dove grazie a una borsa di studio ha potuto proseguire il proprio lavoro di ricercatore in un ateneo americano. Una scelta che per forza di cose ha cambiato radicalmente la loro quotidianità benché la tecnologia dia una grossa mano: «A causa del fuso orario la notte sto sveglia fino a tardi per messaggiare o fare videochiamate con lui – racconta Luisa – spesso, nel corso della giornata, mi ritrovo a pensare a che alimenti posso spedirgli, per farlo mangiare un po’ meglio. E poi c’è sempre un generale senso di apprensione, visto che si trova in un altro continente, senza alcun tipo di appoggio». Loro figlio non è certo il primo a cercare nuove opportunità oltreoceano: secondo i dati Istat, nel 2018 sono stati 5412 gli italiani trasferitisi negli Usa. Il problema c’è quando le stesse opportunità, nel paese d’origine, non vengono fornite nella maniera adeguata. E infatti, al di là delle comuni preoccupazioni di chi ha un figlio all’estero, c’è però anche la consapevolezza di una scelta fatta per perseguire le proprie ambizioni e realizzazioni professionali: «Ha seguito la sua strada, in maniera autonoma e io lo supporto emotivamente – continua Luisa – là ha trovato maggiore considerazione per quello che fa, il ricercatore, ha il supporto e l’interesse della comunità scientifica e la possibilità di lavorare con persone provenienti da tutto il mondo e con tutti gli strumenti che l’università gli può offrire.

Sinceramente, avrei preferito che la stessa opportunità l’avesse avuta nel suo paese, visto le energie profuse da noi come famiglia, ma anche dallo stesso Stato, per dargli una formazione

Su un suo eventuale ritorno, la madre fa buon viso a cattivo gioco: «Da mamma, la speranza è che torni… ma sarebbe giusto che tornasse in un paese dove c’è rispetto per i suoi studi. Là c’è uno stile di vita diverso, ma può senza dubbio lavorare meglio». Un parere su cui il marito Fabrizio non è molto d’accordo: «Secondo me ha il dovere di tornare, e che divulghi alla nazione le cose nuove che ha appreso». Ma a parlare, forse, è il cuore di papà, più che l’orgoglio patriottico:

Nostro figlio non ha minimamente condiviso con noi la sua scelta, ma l’abbiamo accettata. E, anche se non avrei mai voluto che andasse così lontano, si è rivelata essere buona, anche in prospettiva futura

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