Fra Alessandro Matteo Biasibetti, 35 anni e ormai da quasi uno professo perpetuo nell’Ordine Domenicano e attualmente studente a Roma è un testimone privilegiato per spiegare il successo vocazionale che la Provincia dell’ Italia Settentrionale sta vivendo in questi anni, in totale controtendenza rispetto al resto della Lombardia. lo abbiamo intervistato, approfittando anche del suo legame con la nostra diocesi, in quanto originario della parrocchia di Garlasco.
La Provincia San Domenico ha avuto in questi anni un vero e proprio “boom” di vocazioni. Quando è iniziato questo trend in crescita e vi siete dati una spiegazione del perché di questo cammino in controtendenza?
Indubbiamente da qualche anno la nostra Provincia San Domenico in Italia, che comprende circa 12 conventi in tutto il nord con due missioni in Turchia, è immeritatamente fiorente di vocazioni. Un trend che, post covid, ha attirato anche l’attenzione di molte testate giornalistiche, prima su tutti Avvenire, che ha dato un risalto nazionale a questo fenomeno che sembra andare in controtendenza con i numeri degli altri ordini religiosi e delle Diocesi in generale. Per spiegare questa crescita non possiamo che rifarci alla grande misericordia di Dio che non ha smesso di chiamare operai nella sua vigna anche in questi tempi di crisi. Inoltre senza dubbio tutto ciò è anche da attribuirsi alle costanti preghiere delle nostre monache e all’affidamento di tutti i formandi e delle nuove vocazioni da parte del Santo Padre Francesco a San Domenico pregando sulla sua tomba nel 2016.
Non possiamo oltre al lato spirituale non riconoscere però il grande investimento prodotto dalla nostra provincia sulla formazione.
In modo particolare l’attuale priore provinciale, padre Daniele Drago, sta spendendo tutte le sue forze principalmente nella vicinanza, cura e crescita umana e spirituale dei giovani impegnati nei diversi gradi della formazione. Con un occhio anche al passato si deve riconoscere a padre Drago l’enorme sforzo fatto nei suoi dieci anni come Maestro degli studenti e quattro come Maestro dei novizi, dove ha prima di tutto cercato di formare frati capaci di tessere relazioni umane e fraterne sane, rendendo consapevoli i formandi che in convento si entra per “imparare ad amare alla maniera di Cristo”, come spesso ama ripetere.
Che profilo hanno i giovani che si avvicinano al discernimento presso di voi? Provengono da esperienze di comunità cristiana o sono “outsider” che vengono da percorsi di recente conversione?
I giovani che in questi anni si sono susseguiti nelle varie tappe formative sono davvero eterogenei. Confermando un fortunato titolo di padre D’Amato, “una religione tutta larga”, coloro che bussano alle porte dei nostri conventi arrivano da diverse esperienze anche di conversione recente (però da almeno 3/5 anni). Non sono migliori o peggiori di altri ragazzi, ma sono così come il mondo li forma, accomunati dal grande bisogno di misericordia che è anche la frase pronunciata all’ inizio del noviziato. Abbiamo ragazzi che si avvicinano dopo le superiori, ragazzi che lasciano che lasciano una carriera universitaria, un lavoro, alcuni in età più adulta che scoprono di non aver mai fatto un vero discernimento.
Cosa “offrite” nel cammino di discernimento? Come si avvicinano a voi i giovani per chiedere di iniziare questo cammino? Insomma: qual è la vostra “pastorale vocazionale”?
Il segreto, a mio modo di vedere, per fare una buona pastorale vocazione è quello di essere presenti per i giovani e aprire a tutti coloro che si affacciano alle porte dei nostri conventi, ascoltando, accompagnando e guidando alla scoperta della propria vocazione. In ogni convento c’è un frate preposto a questo compito. Inoltre la nostra semplice offerta vocazionale è ad imitazione delle parole pronunciate da Gesù ai discepoli che lo seguivano chiedendo dove abitasse: “venite e vedete”(GV 1, 35-40). Le porte delle nostre case sono aperte a tutti coloro che vogliono scoprire e vivere in prima persona la vita domenicana. Per gli “aspiranti” poi durante il corso dell’anno sono previsti dei ritiri della durata di un weekend nei vari conventi della provincia e per tutti gli under 35, che ci seguono, sono previsti vari “gruppi giovani” nelle diverse realtà domenicane presenti nel territorio.
Quali elementi del carisma domenicano, secondo te, attirano così tanto?
Ad oggi, ma in realtà da 800 anni, le caratteristiche che delineano la vita domenicana sono quattro: la vita comune, la liturgia corale, la vita regolare e lo studio. Tutto questo dona una identità solida a tutta la figura del frate che cerca di mantenere l’equilibrio tra questi quattro pilastri. I voti e il desiderio di conformare la propria vita a quella di Cristo sono il collante di una vita che si divide in vita di preghiera, contemplativa, e predicazione esterna al prossimo. Un mix ad oggi ancora vincente.
Dentro a tutte queste domande quali elementi ritrovi nella tua esperienza personale?
Per quanto mi riguarda io sono nato in oratorio, sono cresciuto nel modello di preti che hanno dato tutto e si sono spesi giorno dopo giorno a creare una comunità parrocchiale simile a quella dei dodici. Tutto ciò ha alimentato in me, prima di tutto, il desiderio di una vita comune poi il desiderio di dare risposte alle grandi domande del nostro tempo, con lo studio offerto anche nella preghiera di contemplazione.
Ultimo, ma non meno importante, l’amore per il Santo Rosario che, soprattutto nel mese di maggio, in tutti i nostri paesi si recita nei vari rioni e che nell’Ordine Domenicano ha sempre trovato il grande polmone che da sostegno a tutta la nostra vita.
Fra Giuseppe Fornoni: «Coinvolgere i giovani, la nuova sfida di oggi»
Qual è la vocazione che interpella i giovani oggi? Secondo fra Giuseppe Fornoni, guardiano del convento dei frati cappuccini di Vigevano, è intorno a questa domanda che ruota la sfida dei consacrati nel 2024. «Nel mondo cappuccino così come ovunque – racconta – da oltre vent’anni c’è un calo costante. Ci sono delle eccezioni: noi abbiamo sperimentato una fioritura a Capo Verde, frutto di trent’anni di apostolato che ha lasciato il segno nei giovani, e in precedenza in India e in Polonia, ma la tendenza è chiara». E questo perché
manca la materia prima, che sono i figli, e manca una cultura vocazionale che aiuti il giovane.
Mi sono sempre occupato di vocazioni e a me sembra che sia diversa la modalità di scelta: difficilmente se ne compie una definitiva in un ordine tradizionale, ma ci si impegna all’interno di gruppi ecclesiali, come Rinnovamento nello Spirito Santo, Cammino neocatecumenale, Comunione e Liberazione, che danno la possibilità di una consacrazione laicale, anche di una vita comunitaria, ma con meno regole e meno strutture».
RESISTENZE Una situazione che fra Fornoni vede anche nella realtà della costituenda Provincia cappuccina del nord-ovest e in quella diocesana: «Pochi seminaristi, pochi giovani che seguono un percorso vocazionale e una presenza femminile estremamente ridotta – commenta – ma allo stesso tempo un aspetto bello, che a mio avviso caratterizza Vigevano e la Lomellina, è che molte parrocchie hanno un gruppetto di giovani che cerca di fare un percorso cristiano vero e attivo. Bisogna permettere loro di esprimersi attraverso i linguaggi di musica, sport, arte, per essere accolti nei nostri spazi. Il rischio è di essere troppo chiusi e perderli». Per il guardiano dei cappuccini di corso Genova questa è la sfida, soprattutto perché «l’andamento delle vocazioni rispecchia quello “demografico” della religiosità».
CORAGGIO In questo contesto occorre abbandonare i timori. «Al Gifra cerco di fare tesoro di quel che c’è stato, ma senza avere paura del cambiamento e dando fiducia a giovani e laici. Se si accoglie, si dà spazio, qualcosina può nascere. Anche i giovani tuttavia devono resistere alla tentazione di chiudersi in spazi confortevoli e sfruttare tutte le occasioni d’incontro a livello diocesano ed extradiocesano».
Dcc, Gds.