È passato un anno dalla pubblicazione del Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes, dal quale è emerso che il 15,6% degli italiani crede che la Shoah non sia mai esistita. Il dato forse più preoccupante è che il 61,7% crede che i casi di antisemitismo nel nostro Paese non rappresentino un reale problema. Eppure, il tema è approfondito ogni anno in occasione della Giornata della Memoria con momenti dedicati alle vittime di tutto il mondo e, soprattutto, a quelle legate al territorio.
È il caso di Anna Botto, maestra nata ad Alessandria il 31 dicembre 1895 e morta all’interno del campo di concentramento di Ravensbrück, a nord di Berlino. Si conosce molto della sua vita e poco sulla sua morte. È stata un’insegnante per oltre 30 anni: prima in provincia di Alessandria, poi a Como, fino ad arrivare nella provincia di Pavia e quindi a Langosco, Robbio, Palestro e, infine, a Vigevano dove insegnò presso la scuola elementare Regina Margherita. Dopo l’8 settembre del 1943 – il giorno della vergogna in cui, dopo la firma dell’armistizio, i sovrani e buona parte dei ministri del Governo abbandonarono l’Italia in mezzo a una guerra civile – decise di aiutare ex prigionieri alleati ed esponenti antifascisti rifugiatisi nelle campagne della Lomellina.
Per questa ragione, fu sorvegliata dagli agenti dell’UPI (Ufficio Politico Investigativo) di Vigevano e arrestata per la prima volta il 1° maggio 1944 per aver accompagnato le proprie alunne a due messe in ricordo dello studente Carlo Crespi, il giovane vigevanese fucilato dai tedeschi a Varallo. Il sentimento di giustizia vivo nella docente emerge chiaramente nel verbale d’arresto in cui denunciò i suoi carcerieri per i delitti perpetrati al servizio dei nazisti. Scarcerata il 10 maggio, tornò in carcere a luglio e, qui, la sua vita si incrociò con quella di Laura Berio: una donna che, su pressione del capitano dell’UPI Enrico Rebolino, divenne confidente della maestra Botto e spia dell’UPI. Queste confidenze condussero le famiglie Gragnani e Pettenghi in carcere e Anna Botto a un processo a Milano, dopo il quale fu trasferita al reparto tedesco di San Vittore con matricola n. 3160.
Il 20 settembre arrivò nel campo di transito di Bolzano e, infine, il 7 ottobre a Ravensbrück. Qui iniziano le testimonianze contrastanti sulla sua morte: per Maria Luisa Canera di Salasco sarebbe morta dopo soli 25 giorni di quarantena; secondo Rosa Gaiaschi Pettenghi, pensando di riuscire a sopravvivere meglio, si sarebbe fatta assegnare al blocco delle invalide. L’unica certezza è che nell’aprile del 1945, durante l’evacuazione del campo, i nazisti incendiarono il reparto dell’educatrice con il lanciafiamme. Nel corso degli anni, per non dimenticare l’operato della maestra Anna Botto, la città di Vigevano ha inserito – in un’aula delle scuole elementari di Piazza Vittorio Veneto e nel sacrario partigiano all’interno del cimitero comunale – una lapide a bassorilievo in suo onore. Inoltre, ad Anna Botto è stata intitolata una via di Vigevano compresa tra le vie Gravellona e via Arona e, in occasione del 25 aprile 1983, la scuola elementare del rione S. Maria di Vigevano prese il suo nome. Tutto questo per non dimenticare mai.
Annunziata Asaro