Da dove viene la tua passione per la fotografia? È recente o l’hai sempre avuta?
«Più o meno dagli anni del liceo. C’era già un discreto interesse nel prendere la macchina fotografica di mio padre e scattare delle foto durante i viaggi, in particolare in India. Poco dopo, a forza di viaggiare, mi sono preso la mia fotocamera personale per principianti. Durante il periodo del Covid, con ben poco da fare oltre a seguire le lezioni da casa, ho iniziato a studiare fotografia, seguendo soprattutto i consigli di video trovati su Youtube. Con l’apertura post-quarantena ho cominciato a fare servizi fotografici a diversi compleanni, in modo da guadagnare qualche soldo da poter reinvestire nell’attrezzatura. Questa esperienza mi ha aiutato a decidere cosa fare dopo le superiori: ho, infatti, scelto di intraprendere gli studi universitari presso lo IED di Milano, ovvero l’Istituto Europeo di Design. Il livello di insegnamento è altissimo, e lì ho imparato molto».
Quali pensi che siano le caratteristiche più importanti per un fotografo?
«Dipende molto dal contesto. L’università che frequentavo proponeva due strade: una laurea come fotografo di moda, che richiede ovviamente un’interazione con una persona in movimento, o come fotografo di “still life”, ovvero foto che ritraggono oggetti “di natura morta”, come possono essere le immagini utilizzate per pubblicizzare l’uscita di un nuovo modello di telefono. Un altro punto importante è la persona che decide di fotografare: i suoi interessi, la sua personalità, il settore in cui punta a lavorare… un individuo che fotografa eventi sportivi avrà sicuramente un ventaglio di abilità differente da una persona che riprende, per esempio, oggetti inanimati. In un concerto o in una partita ti dovrai muovere e riuscire a cogliere l’attimo, mentre in uno studio si è in un ambiente più controllato. Insomma, le caratteristiche di un fotografo dipendono da ciò che piace e che interessa, ma anche da richieste specifiche. Riprendo l’esempio dei concerti: lì, salvo richieste particolari dell’artista o di un magazine come una foto in primo piano, hai molta più libertà, ed è una cosa che mi ha sempre affascinato. Dall’altra parte, invece, un brand di gioielli potrebbe richiederti una foto particolare: dovrai quindi saperti muovere in uno spazio decisamente più ristretto, magari anche consigliando un certo tipo di scatto rispetto ad un altro».

Sei un grandissimo tifoso dell’Inter. Collaborare con loro è un tuo sogno nel cassetto?
«Al giorno d’oggi faccio molto sport, musica, moda o eventi privati. Nel corso della mia carriera mi piacerebbe incrociare la mia strada con l’Inter, ma in generale di un grande club di Serie A, come potrebbe essere anche il Milan. Per me sarebbe un grandissimo traguardo in ogni caso, al di là della fede calcistica. Sono riuscito a “collaborare” parzialmente con l’Inter per la mia tesi d’università, caduta proprio nell’anno del ventesimo scudetto dei nerazzurri. Inizialmente non trovavo un’idea che mi soddisfasse pienamente, quindi ho deciso di virare su questo avvenimento. L’Inter mi ha concesso diversi accrediti e permessi per portare una macchina fotografica professionale sulle tribune di San Siro, cosa che di norma non si potrebbe fare per ragioni di sicurezza, per immortalare il pubblico durante questa grande festa. Alla fine, la mia tesi si è incentrata sul ventesimo scudetto e la passione dei tifosi interisti».
Stai portando avanti un magazine social che si incentra sulla musica e su concerti, giusto?
«Si, ma è un qualcosa che ha origine tempo fa. Intorno al terzo anno di università ho cercato di entrare in qualche magazine per poter fare delle foto a dei concerti, ampliando così un campo che mi mancava. Ho perso un po’ di continuità nel periodo che ha preceduto la laurea, ma dopo la scomparsa di mia nonna a febbraio di quest’anno mi sono “risvegliato”, rispolverando così questa passione. Da quando ho ricominciato ho ricevuto diversi inviti, e questo mi ha fatto riconoscere nel giro dei magazine e degli organizzatori di eventi. Ho da poco fondato questo magazine chiamato “ConcertiCultura”; stiamo cominciando a crescere e a ricevere inviti importanti. Per esempio sono stato accreditato per il concerto di Sfera Ebbasta e Shiva. Nel corso dei mesi ho avuto l’opportunità di stare vicino a diversi artisti, scambiandoci due parole e contatti social. Mi capita spesso di dover scrivere anche degli articoli sui concerti a cui partecipo: cerco sempre di esprimere la mia opinione in maniera completamente onesta, senza giri di parole, anche se essa dovesse risultare negativa. Sto cominciando a rendermi conto che quello che esce dalla mia bocca comincia a essere effettivamente importante e ascoltato. Ho partecipato al rilascio di un album in una location privata con altri artisti; ricevere questo tipo di fiducia è un segnale importante. Mi ricordo anche che diversi cantanti hanno utilizzato le mie foto sui loro social, che mi sembra essere tuttora qualcosa di surreale. A giugno, quando il rapper Lazza ha organizzato un evento davanti al Duomo di Milano dove ha rilasciato in anteprima diverse canzoni di un album già pubblicato ma con stili musicali differenti, gli organizzatori hanno chiesto al magazine che io in persona mi presentassi all’evento, per poi scrivere un articolo il giorno dopo.
È stata una grande soddisfazione: spero che il progetto continui ad espandersi oltre alla sua misura attuale. In questo momento siamo circa in 20, provenienti da tutta Italia.
Hai altri obiettivi futuri nel mondo della fotografia?
«Oltre a quello già menzionato sull’Inter, un altro sogno nel cassetto sarebbe quello di poter seguire un artista, magari anche di un certo calibro, per un intero tour come fotografo personale. Alcuni cantanti hanno già riconosciuto in passato il mio stile di fotografia, che per me è un grande vanto. Spero veramente di riuscire a far parte di un team per un tour completo, anche al di fuori del ruolo di inviato per il magazine. Questo comporterebbe la possibilità di scattare foto per tutta la durata del concerto. Al giorno d’oggi è concesso fotografare l’artista solo per le prime 3 foto, salvo poi rimanere come inviato stampa o lasciare del tutto il concerto».
Come gestisci le foto dopo una sessione fotografica?
«La post-produzione, prima di pubblicare le foto, è un processo molto importante. Per esempio, molti fotografi prediligono foto a colori, altri le preferiscono più sgranate, alcuni le vogliono più nitide mentre altri ancora decidono di pubblicarle in bianco e nero. È essenziale trovare un proprio stile, che riesca a funzionare anche per un magazine o un artista in particolare. Crescere, altrimenti, risulterà molto più complicato. La post-produzione può anche aiutare a rendere le foto più appetibili al pubblico sui social: per esempio, i miei scatti al concerto del rapper Guè sono stati condivisi molte volte, utilizzati sia dall’artista che da diversi magazine. L’esperienza, in questi casi, aiuta molto. Nell’ambito dei concerti, degli eventi sportivi e di moda, so di avere un certo tipo di capacità e di competenza, mentre pecco ancora un po’ di esperienza con i matrimoni. Io sono riuscito a trovare il mio stile sia nella fotografia che nella post-produzione diverso tempo fa, e in questi anni sono riuscito ad affinare le mie abilità. Farsi riconoscere in questo business è importante».
Ti ispiri a qualche fotografo in particolare?
«Sotto l’aspetto musicale il mio principale punto di riferimento è il fotografo e regista statunitense David LaChapelle, che nel corso degli anni ha realizzato diverse copertine di artisti che seguo. Ho avuto modo di incontrarlo dal vivo a Milano durante un evento. È stato stupendo poter scambiare due parole con un fotografo del suo calibro. Mi ispiro spesso anche alle tradizioni di paesi orientali o medio orientali. Ho ripreso più e più volte aspetti delle culture indiane o egiziane, che sono qualcosa che mi affascina».
Edoardo Zanichelli



