Pier Luigi Muggiati, da anni è un punto di riferimento per la cultura vigevanese, ma come nasce il suo percorso e questa sua passione per la storia?
«La storia è sempre stata la mia passione, tanto che all’inizio il mio sogno è sempre stato quello di diventare archeologo. Alla fine non lo sono diventato, ma essere archivista non è poi così diverso. Nel 1987 mi sono laureato in lettere all’Università degli Studi di Pavia e, dopo aver concluso questo primo corso di studi triennale, ho conseguito un corso di biennale di Paleografia archivistica e diplomatica presso l’Università degli Studi di Torino. Il caso vuole che mio zio all’epoca era parroco a Sant’Angelo Lomellina e, leggendo proprio L’Araldo Lomellino, ha trovato un trafiletto dove si diceva che il comune di Vigevano cercava archivisti da inserire nel proprio organico. Non appena mi ha fatto leggere il giornale, ho subito mandato la domanda per il concorso avendo i titoli richiesti e da lì posso dire che è iniziata la mia carriera e la mia vita a Vigevano».
C’è qualche reperto, qualche evento storico di Vigevano che l’ha colpita particolarmente?
«Diciamo che in questi anni, un po’ per lavoro e un po’ per passione, ho approfondito molti aspetti della storia vigevanese, non tutti, ma sicuramente tanti aspetti che mi hanno dato una buona visione d’insieme. Se proprio devo scegliere, il periodo alto medievale è quello che mi interessa maggiormente perché è il momento storico in cui nasce la moderna Vigevano. Non a caso il mio sogno nel cassetto, quando andrò in pensione, è scrivere un libro sulle origini di Vigevano, una parte di storia della città per cui si sa ancora abbastanza poco. Ci sono infatti molte congetture e di fatto poche prove, ma documentandomi bene e mettendo insieme tutti gli indizi, sono sicuro che riuscirò a mettere in piedi un prodotto valido».

Quali sono le fonti su cui farà affidamento?
«Anche se ormai sono testimonianze un po’ datate, se si fa uno studio sulla storia ducale non ci si può esimere dal leggere gli studi dell’illustre storico vigevanese Alessandro Colombo, anche se la mia fonte principale è un’altra. Durante la pandemia, periodo nel quale eravamo tutti forzatamente fermi, ne ho approfittato per leggermi tutto l’estimo del Simone del Pozzo, cancelliere e cronista del Cinquecento, dal quale ho ricavato parecchie informazioni, soprattutto di tipo toponomastico. La toponomastica è una scienza non esatta, ma molto interessante e da cui si riescono a ricavare parecchie informazioni interessanti. Mettendole insieme ad altre testimonianze trovate in altrettanti documenti custoditi all’interno dell’archivio, penso di essermi fatto un’idea abbastanza inedita su quella che è l’origine della Vigevano moderna».
All’interno dell’archivio c’è ancora un patrimonio storico da scoprire?
«Nonostante tanti documenti siano già stati editati da Colombo nel suo cartario sono sicuro che si possano ricavare tante altre informazioni interessanti, anche se bisogna essere sempre molto attenti all’interpretazione. Quando ci si trova di fronte a una ricerca è sempre bene verificare, anche se il lavoro dell’archivista è un po’ come in un’indagine per un crimine: c’è bisogno anche di un pizzico di intuito per poter mettere insieme gli indizi trovati».
C’è una mostra in particolare che le è piaciuta più di tutte?
«In realtà questa è una domanda un po’ difficile, proprio perché nella mia carriera ne ho organizzate tante e a tutte sono molto affezionato. Ma se proprio devo sceglierne una, quella che più mi è rimasta nel cuore è la mostra sui restauri di Piazza Ducale di fine anni Novanta, tra il 1998-1999. Quella è stata in un certo senso la prima mostra che ho seguito di persona e, per l’occasione, avevo scritto anche una pubblicazione in cui cercavo di ricostruire, attraverso i pochi indizi esistenti, quella che era la piazza medievale prima della costruzione di Piazza Ducale».
Ha voglia di raccontare qualche curiosità su Vigevano?
Sicuramente la più particolare è che la “vecchia” Vigevano era circondata da delle mura, alcune delle quali sono ancora presenti. Uno di questi tratti quattrocenteschi è nel giardino di palazzo Saporiti, nei pressi del Naviglio Sforzesco, dove sono ancora visibili almeno una decina di metri di mura.
E una curiosità sulla sua carriera?
«Diciamo che ho avuto il privilegio di raccontare più di una volta la storia e le curiosità di Vigevano in programmi televisivi, non solo italiani. Una volta sono stato infatti intervistato da un telegiornale spagnolo in occasione della mostra del tacco a spillo a Madrid nel 2009, ma sono arrivate anche altre occasioni, tra cui una recentissima. Lo scorso anno siamo stati contattati direttamente dalla redazione dei “Fatti Vostri”, un programma della tarda mattinata trasmesso ogni giorno su Rai Due, ma questa non è stata la nostra prima volta nel programma Rai. Qualche anno fa, nel 2014, grazie ad Armando Pollini, nostro consulente del Museo Internazionale della Calzatura, siamo già stati ospiti, allora condotto da Giancarlo Magalli, portando alcune calzature esposte nel museo. E lo scorso anno abbiamo ricevuto di nuovo la richiesta di andare nei palinsesti Rai per fare una presentazione per la puntata del 25 ottobre. Ed ecco che dopo aver scelto una quindicina di scarpe rappresentative per la nostra città, sono partito alla volta di Roma. Tra queste ho portato la copia della Pianella di Beatrice d’Este, alcune paia di scarpe degli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche scarpe più moderne e scarpe rosse, queste ultime moderno simbolo contro la violenza sulle donne. Anche se l’intervento nella trasmissione è stato abbastanza breve, circa dieci minuti, siamo stati impegnati per circa due giorni tra allestimento e prove».
In generale posso dire che è stata una bellissima esperienza, ma soprattutto una bella vetrina per Vigevano, nel cuore di tutti ancora come capitale della scarpa.

Oltre al libro in cantiere, ci sono dei progetti futuri?
«Per quanto riguarda i musei mi piacerebbe molto poter ricavare all’interno del Museo Internazionale della Calzatura uno spazio per fare mostre temporanee, elemento di cui siamo privi in questo momento a differenza della Pinacoteca Civica, dove una saletta per le esposizioni c’è già. Non a caso ultimamente siamo stati contattati da un museo di moda di New York che vorrebbe esporre alcuni dei loro oggetti proprio nel Mic. È ancora tutto da vedere, ma è un’attenzione che ci ha dato parecchia soddisfazione, perché significa che Vigevano c’è ed è conosciuta anche all’estero. Ma è un sogno che riguarda tutti i musei, anche la Leonardiana. Sarebbe bello infatti poterla rinnovare e rimodernare, ma soprattutto renderla più legata alla nostra città. A mio parere, per com’è fatta attualmente è un tipo di mostra che potrebbe essere collocata in qualunque parte del mondo. Lo scopo sarebbe quello di contestualizzarla al meglio, magari legandola alle figure di Ludovico il Moro e di Beatrice d’Este, anche perché il museo è collocato proprio all’interno di quelli che erano gli spazi dedicati a Beatrice e a tutta la sua corte. Un progetto di rinnovo che avrebbe quindi un senso soprattutto dal punto di vista storico. Sono consapevole che c’è poi una questione di risorse economiche e umane tutta da risolvere e da trovare, ma qualora dovessero esserci i fondi e il capitale umano, sono sicuro che questo mio sogno potrà diventare realtà».
Rossana Zorzato