La giornata per il nostro Seminario: le voci di Luca ed Emanuele

Nella nostra diocesi ricorre, nella domenica di Cristo Re, la giornata del seminario. Di norma mi veniva chiesta una breve testimonianza durante le s. Messe; quest’anno però le restrizioni dovute alla pandemia hanno imposto a noi tutti molti cambiamenti, fra i quali l’impossibilità, per me, di recarmi al sabato e alla domenica a Mede, la mia parrocchia di esperienza pastorale. Cerco allora di condividere, per iscritto anziché a voce, qualche mio pensiero. Inizio con una presentazione: sono Luca, ho trentasei anni, sono originario della parrocchia del duomo e, prima del mio ingresso in seminario, mi sono laureato in ingegneria edile – architettura a Pavia e ho poi lavorato due anni a Milano nel settore delle energie rinnovabili. Attualmente frequento la quinta teologia (il penultimo anno nel percorso di formazione al sacerdozio) presso il seminario di Lodi (perché il numero troppo ridotto di noi seminaristi – solo due, io e il mio compagno Emanuele – ha reso ormai impraticabile il rientro nel nostro seminario di Vigevano); come esperienza pastorale, sono stato dapprima all’oratorio cittadino Negrone, poi nella parrocchia di Gambolò e ora in quella di Mede. Una scelta di vita come la mia può sembrare controcorrente, può intimorire chi sta già pensando se la sua strada possa davvero essere quella del ministero sacerdotale.

Non sarei capace di scrivere qui una specie di “spot pubblicitario”, né di fornire la “ricetta” del buon seminarista; non credo neppure che questa sia la cosa giusta da fare. Il suggerimento che mi sento di dare, ai giovani e ai meno giovani (io stesso non sono entrato in seminario subito dopo la maturità, ma a trent’anni) è di chiedere, a se stessi e a quanti possono guidarci, volendo realmente il nostro bene, quale sia il disegno di vita che ci realizza in pienezza, cioè in tutte le nostre dimensioni: nella nostra sfera razionale così come in quella sentimentale, e naturalmente in quella spirituale. Si segue la propria vocazione se si “sta bene” con gli altri (alla fine, con l’Altro che è Dio) e con se stessi, e questo “star bene” non può derivare né da uno slancio emotivo, magari forte all’inizio ma destinato poi a raffreddarsi, né da chissà quale ragionamento che, pur filando perfettamente in teoria, risulta poi arido e insoddisfacente una volta posto in essere.

Certo, la vita in seminario e in parrocchia (così come in famiglia o al lavoro) presenta anche delle difficoltà e forse, tra i più grandi timori che frenano chi sta pensando al sacerdozio, c’è l’idea che esso sia per sempre. Potrebbe essere di aiuto, a questo riguardo, ricordarci che, se è vero che spetta a noi come vivere ogni giorno, con le sue piccole o grandi scelte, è altrettanto vero che non siamo noi per primi a dover fare tutto, men che meno riguardo alla nostra vocazione: siamo innanzi tutto dei chiamati, siamo coloro ai quali è stato fatto un dono. Dire il nostro «sì» al disegno che Dio ci propone può sembrare più gravoso del solito in questi tempi, ma non paralizziamoci, non rimandiamo all’infinito. Anche i discepoli hanno avuto spesso paura, hanno persino scambiato Gesù che veniva loro incontro sul lago in tempesta per un fantasma (cfr. Mt 14,22-33). Tutte le volte che i nostri timori ci bloccano, sentiamo come rivolte a noi le parole del Signore: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».

Luca Gasparini

Sono Emanuele Strada, ho 29 anni, sono della parrocchia di Sannazzaro de’ Burgondi e frequento il terzo anno di studi nel seminario di Vigevano. Il nostro vescovo quest’anno mi ha destinato all’oratorio cittadino del pio istituto Negrone. Purtroppo in questo clima di incertezza a causa del Covid non ho ancora potuto incontrare tutti i ragazzi perché l’oratorio è stato chiuso per le nuove ordinanze. Il 22 novembre si terrà la giornata del seminario dove in modo comunitario in tutta la diocesi si prega per i seminaristi e per chiedere il dono di nuove vocazioni al sacerdozio. La mia è una vocazione adulta, cioè non sono entrato in seminario appena terminati gli studi, ma prima ho lavorato come panettiere coi miei genitori.

In me il desiderio di entrare in seminario è cresciuto nel tempo, tant’è che da piccolo quando mi dicevano se volessi fare il prete rispondevo sempre di no, ma col tempo è cresciuto in me il desiderio di seguire Gesù e sono entrato in seminario. Prima di cominciare ero molto timoroso, perché mi immaginavo un luogo pieno di regole e divieti, invece ho scoperto un luogo dove potermi confrontare con ragazzi che stanno facendo lo stesso percorso, con superiori che aiutano a crescere e a maturare nella fede e sto scoprendo tante cose nuove. Ho scoperto che ogni vocazione, non solo quella al sacerdozio ma anche quella al matrimonio o ogni altra forma di vocazione sono un’incertezza: sì, perché fino a quando non rispondi a questa chiamata il cuore è inquieto, non si dà pace. Per rispondere a una vocazione però ci vuole molto coraggio, perché è sempre un salto nel vuoto, devi uscire dalle sicurezze che ti sei costruito e lanciarti sperando che qualcuno ti sostenga. Nel matrimonio si è sostenuti dal marito o dalla moglie.

Invece nel cammino al sacerdozio colui che sostiene è Dio che non è solo un “dirigente” d’azienda a cui obbedire ciecamente, ma è il Padre che ci ama con un amore che non possiamo nemmeno immaginare. Anche quando sbagliamo è sempre lì a sostenerci e per questo vedo la mia vocazione sempre in rapporto ala frase di san Giovanni Paolo II: «Non vi è male da cui Dio non possa trarre un bene più grande. Non vi è sofferenza che egli non sappia trasformare in strada che conduce a lui». A volte parlando con i ragazzi mi sento dire che Dio non può perdonarli perché ne hanno combinate di tutti i colori, ma Dio non vuole solo sgridarci per ciò che facciamo, ma vuole sostenerci e guidarci per arrivare alla felicità: perciò ai giovani che sono incerti su cosa fare nella o della loro vita voglio dire con san Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo Solo lui ha parole di vita, sì!, di vita eterna».

Emanuele Strada

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