Il Concilio Vaticano II ha avviato una riflessione rivoluzionaria sulla liturgia, non più celebrata dal solo prete ma partecipata anche dall’intera assemblea. I documenti liturgici che seguirono chiesero alle chiese di tutto il mondo di adeguarsi a quella “rivoluzione”, a partire ovviamente dalla cattedrale, che costituisce la chiesa esemplare per quelle di una intera diocesi. Finalmente, dopo molto tempo e forte attesa, anche la cattedrale di Vigevano si adegua al nuovo assetto e rinnova la sua area presbiteriale. Non c’è uno standard estetico o una linea teologica unica, quando si innova un presbiterio, purché siano conservate alcune coordinate teologiche di base.
Lo spazio interessato all’intervento è chiamato “presbiterio”, perché destinato a ospitare i presbiteri in unione con il Vescovo per la celebrazione dell’Eucaristia, nella quale si esercita il sacerdozio della Chiesa secondo i due gradi di cui esso è costituito, ossia il sacerdozio battesimale (di tutti i credenti, “membra” del corpo di Cristo) e il sacerdozio ordinato (dei soli ministri, “capi” del corpo di Cristo). La differenza che intercorre tra queste due forme di sacerdozio deve essere mantenuta, perché entrambe sono necessarie alla vita della comunità cristiana. Così anche gli edifici di culto lo evidenziano prevedendo un’area per tutti i credenti (la navata) e una per i ministri (il presbiterio appunto) nelle quali si vede che la Chiesa – come anche Cristo stesso – è fatta di un corpo e di un capo uniti, benché distinti.
Spazialmente e funzionalmente perciò il presbiterio è un poco elevato rispetto alla navata e si pone di fronte alla navata, per indicare che le funzioni del capo sono quelle di radunare la comunità e di portarla all’incontro con il Padre nella celebrazione che rende presente, nella fede, il Cristo morto e risorto. Il fine di questa distinzione è, perciò, proprio dare fondamento teologico e cristologico alla comunione dei credenti. La forma in cui si realizza e si esprime l’azione del corpo ecclesiale è quella del rendimento di grazie e perciò della lode e della domanda. Per questo motivo il tono dei luoghi non deve essere quello funzionale e utilitario, ma esteticamente espressivo della gratuità, della fede che viene da Cristo e della speranza che spinge oltre il futuro.
Lo spazio del presbiterio è articolato su tre luoghi: l’ambone, l’altare, la cattedra. Questi luoghi esprimono la figura di Cristo che dona la salvezza e costituisce la comunità dei credenti. Questo spazio è unificato dal tema teologico che ha guidato l’artista nel suo lavoro. Il tema teologico è quello che si ispira al racconto evangelico noto come “i discepoli di Emmaus” (si legga Luca 24). I due discepoli, in cammino da Gerusalemme dopo la morte di Gesù, sono pieni di delusione. Tornano alla vita di prima dopo una ormai disillusa fiammata di speranza e di gioia. Nell’oscurità che sempre più avanza essi sono raggiunti da un misterioso personaggio, che li aiuta a rileggere gli episodi di Gesù alla luce delle Scritture come vera realizzazione della parola di Dio: scoprono che la croce non è un fallimento, ma il trionfo della vita che si dona per amore, come stava scritto tra le righe di tutta la Bibbia.
Ed ecco la nuova luce della pasqua comincia a vincere le tenebre di prima. Quando i due discepoli arrivano al villaggio, invitano il personaggio a rimanere con loro, ossia a fare comunione, perché il loro cuore si era riscaldato alla luce delle nuove rivelazioni acquisite lungo la via, ascoltando la parola di Dio spiegata in un modo nuovo, e ora avevano voglia di condividere ancora un po’ di vita insieme al personaggio misterioso. Si mettono a tavola, e spezzano del pane per condividerlo. A quel gesto i due si ricordano che anche Gesù aveva fatto lo stesso e riconoscono il segno che Gesù, prima di morire, aveva chiesto di ripetere in sua memoria. I due discepoli di Emmaus così intuiscono di essere dinanzi al Risorto, misterioso Viandante che scalda il cuore. E il Vivente scompare al loro sguardo. Essi corrono a Gerusalemme per annunciare a tutti e ai Dodici che il Signore è vivo. Questo riconoscimento, che cambia la vita e chiede di essere annunciato, è proprio ciò che accade nei tre luoghi del presbiterio.
L’ambone è il luogo dell’annuncio, è la Gerusalemme che i due, di corsa, raggiungono per dare l’annuncio di gioia. È perciò il luogo della Parola, dove si proclama la parola della salvezza che altro non è che Gesù Cristo e questi risorto. Dall’ascolto di questa parola nasce la Chiesa, la comunità dei credenti. Plasticamente, segnalando il dinamismo dell’annuncio, l’ambone esce dal presbiterio e si protende verso la navata; presenta anche la dinamica di luce d’oro che vince le tenebre a partire dalla direzione dell’altare, nuova fonte di luce per l’umanità. La stessa luce è riproposta nel portacero- pasquale, simbolo liturgico di Cristo che, nella notte di Pasqua, vince le tenebre della morte e del peccato, ed è collocato vicino all’ambone stesso.
La cattedra rappresenta il segno dei Dodici, ossia dei testimoni di Gesù nella vita, nella morte e nella risurrezione. Essi hanno il compito di garantire la verità della testimonianza di e su Gesù come fondamento incrollabile della fede. La cattedra è perciò il segno dell’apostolicità della Chiesa. Non a caso vi siede il Vescovo, successore degli Apostoli, e fondamento dell’unità della diocesi. Plasticamente, essa emerge sugli altri scranni, da lei è possibile vedere tutti i presenti e tutti i presenti possono sentirsi condotti e istruiti. Guida e comunione sono dunque i due tratti che la cattedra evoca nella sua collocazione e nella sua forma. Al vescovo è garantito un “carisma certo di verità”, come dice il Concilio Vaticano II, che lo colloca veramente capo e sposo: ecco perché sulla cattedra è presente una scia d’oro, che ricorda il fuoco dello Spirito disceso sugli apostoli nel giorno di Pentecoste.
L’altare, cuore di tutto il presbiterio e dell’intera chiesa cattedrale, ripete la mensa dell’Ultima Cena ed evoca l’evento della Pasqua di morte, sepoltura e risurrezione di Gesù. Esso è anzitutto mensa comune dei figli di Dio, e anche luogo del sacrificio dove l’amore di Gesù incontra il Padre nel suo donarsi agli uomini. L’altare è luogo che dà forma e identità allo spazio, rendendolo così chiesa pasquale. L’evento evangelico di Emmaus è rappresentato sulla facciata anteriore, che sprigiona un dinamismo di luce che vince le tenebre e tutto avvolge. L’evento alluso è quello della fede di coloro che celebrano su questo altare. Sulla facciata opposta è rappresentato l’Agnello immolato e vivo, segno del Risorto. È l’immagine di Cristo proposta dall’Apocalisse di Giovanni e indica il mistero della Chiesa che nasce dalla Pasqua e che attraversa la storia come grande tribolazione e come cammino di vittoria dell’amore che viene da Dio e non dagli uomini. I lati dell’altare rappresentano due episodi di incontro con Dio, di comunione tra umano e divino: il sogno di Giacobbe (leggi Genesi 28,12), con la visione della scala che unisce il cielo e la terra, e con gli angeli che Dio invia per la salvezza degli uomini; e il profeta Elia al torrente Cherit (leggi 1 Re 17,6), dove Dio lo nutre con pane e carne nonostante la carestia tutto attorno.

Sotto l’altare il pavimento rappresenta una nuvola di luce, grazie a una realizzazione di sfumatura dei colori del pavimento stesso, a significare che la terra e il cielo si congiungono. Questa porzione di cielo, dove si celebra l’Eucaristia, corrisponde al trionfo celeste di S. Ambrogio, rappresentato nell’arco del soffitto soprastante l’altare stesso, a indicare che la Chiesa terrena e quella celeste si corrispondono nella misura in cui si vive la comunione tra i battezzati. La risistemazione degli spazi liturgici costruisce dunque un luogo ricco di significati e profondità, in cui si fondono vari elementi, artistici e teologici, costitutivi della vita della Chiesa e della specificità della nostra Diocesi. La memoria di S. Ambrogio, le sue reliquie, l’arco della sua gloria; il vescovo con tutto il presbiterio ducale; l’annuncio della Parola con tutti i fedeli lomellini si incontrano nella centralità del mistero pasquale, che trova il suo nucleo essenziale proprio nello spezzare del Pane insieme al Risorto. Da lì tutti si riparte senza indugio per gridare la vita e la speranza del mondo.
Don Luca Girello, Direttore Ufficio Liturgico Diocesano