I cimiteri raccontano: «ripensare ai nostri cari è un dovere per noi stessi»

«Ripensare ai nostri cari che non ci sono più è un dovere rivolto innanzitutto a noi stessi, perché ci consente di portare avanti le nostre tradizioni e di ricordare in un certo senso da dove veniamo». Un cimitero è per definizione un luogo di riposo e inevitabilmente di riflessione, dove il culto religioso dei defunti si intreccia alla valenza civile. Visitare i campisanti, leggere le lapidi, osservare le foto dei defunti rappresenta un modo per conoscere popoli, storie personali ed entrare in contatto con culture differenti. A scrivere le storie dei cimiteri sono coloro che li abitano, ma anche coloro che li visitano. Giulia Depentor, scrittrice definita la “influencer dei campisanti”, nel suo lavoro “Immemòriam”, una sorta di atlante e guida cimiteriale, ha raccolto e raccontato storie, aneddoti e tradizioni in varie zone d’Italia.

VIAGGIO NEL CIMITERO La stessa cosa si può fare visitando il cimitero di Vigevano o un qualunque cimitero lomellino, raccogliendo alcune testimonianze di cittadini, di persone comuni, che lo visitano per porgere segni di affetto e rispetto verso coloro che sono passati oltre, ma la cui presenza continua a rimanere viva. Le storie nei sepolcreti non finiscono mai. Piera, nata e cresciuta a Vigevano, si assicura di portare fiori e tenere in ordine le lapidi dei suoi genitori, ma anche di alcuni suoi cugini alla lontana. Si reca nel camposanto della città ducale almeno due volte a settimana, concedendosi momenti di preghiera e riflessione interiore: «Ricordare i miei genitori e venire a trovarli – racconta – nel posto in cui riposano mi dà modo di continuare a percepire la loro presenza ogni singolo giorno della mia vita. Mi hanno insegnato a guardare sempre avanti, a non voltarmi mai indietro e in virtù di questo sono certa che ora le loro anime si trovano in un luogo di eterna beatitudine». Per raccontare delle storie a volte sono sufficienti poche righe e piccoli gesti.

SEMPRE CON NOI Ha perso la figlia anni fa, ha combattuto con lei contro un male incurabile: Angela abita in via Ceresio e da 5 anni a questa parte le domeniche pomeriggio le trascorre a dialogare con Giulia, narrandole tutto quello che

succede in città, quel che faccio in quella che sarà per sempre casa sua. Spesso viene da me in sogno e mi dice che sta bene. E’ serena, nonostante abbia sofferto molto. Aveva ancora tanto da dare, esperienze da vivere, ma grazie a lei non ho mai rinunciato a vivere.

MEMENTO MORI Gli antichi Romani andavano ripetendo “memento mori” per ricordare e sottolineare che ogni attimo vissuto nella vita terrena è unico e irripetibile. A distanza di secoli dalla fine del mondo romano non ha perso valore la consapevolezza del tempo che passa inesorabilmente. Lo scorrere delle lancette del tempo si percepisce anche percorrendo il camposanto e osservando da vicino le lapidi da cui è costituito. Non mancano a Vigevano tombe di personaggi illustri, come quella di Lucio Mastronardi, situata al numero 16 del campo nord est, zona allora destinata alle famiglie di origini non vigevanesi. La lapide dello scultore Giovanni Battista Ricci si trova vicino alla chiesetta. Percorrendo il camposanto ducale si vedono nomi e foto di personaggi illustri, ma anche di uomini e donne trasferitisi nel secondo dopoguerra a Vigevano per cercare lavoro, per rifarsi una vita e costruirsi un futuro.

TUTTI IMPORTANTI Ci si può imbattere in una giovane coppia che ha accompagnato i propri figli in visita alle tombe dei loro nonni, originari della Sicilia, del Mezzogiorno, esempi di come l’uomo si costruisca il proprio futuro ogni giorno: «Ai nostri figli raccontiamo spesso di come i loro nonni per rimanere in città abbiano subito dovuto cercare un’occupazione stabile. Hanno trovato lavoro nel settore calzaturiero: nonostante fossero stati discriminati in quanto meridionali, hanno saputo negli anni farsi apprezzare e stimare dai colleghi per il loro impegno e la loro dedizione al lavoro».

Una commemorazione per riflettere sul mistero dell’aldilà

Il “ponte dei morti” o i “giorni dei morti” sono espressioni divenute ormai comuni anche fuori da qualsiasi riferimento religioso per indicare i giorni con cui si apre il mese di novembre. È indubbio che faccia parte integrante dell’esperienza umana una particolare sensibilità verso il mistero grande della morte e tutto quello che accompagna la separazione dalle persone care con la grande domanda: che ne sarà di loro? Tra ateismo razionalista e neopaganesimo, sono tante le espressioni che nella storia sono emerse nel tentativo di esorcizzare la paura e aprire una prospettiva al di là della visibile realtà terrena.

LA STORIA A partire dal II secolo le comunità cristiane, custodi dell’annuncio sconvolgente di un Dio fatto uomo che attraversa la morte per sconfiggerla per sempre, hanno pregato e celebrato l’Eucaristia per i fratelli e le sorelle defunte. Con l’affermarsi, a partire dal XVI secolo, della dottrina sul Purgatorio tale prassi, nella forma del suffragio, ha assunto la forma di un gesto alto di carità a favore di quelle anime che attendono l’ingresso definitivo in Paradiso, divenendo un ponte capace di collegare la realtà terrena all’aldilà. Si deve però all’abate Odilone di Cluny l’istituzione, a partire dal 998, del 2 novembre come giorno dedicato alla Commemorazione dei fedeli defunti. Benedetto XV concede in questa data a ogni sacerdote di celebrare tre messe per ampliare il suffragio a beneficio specialmente dei defunti più dimenticati.

CUM-MEMORARE Al di là della storia però è interessante chiedersi quale sia il valore di questa data del calendario, spesso ridotta a un’occasione per lucidare le tombe di famiglia e adornarle di fiori. Si tratta sicuramente di aspetti significativi del sentimento umano, ma tutto non può limitarsi a essi. Un indizio importante per andare al di là è offerto dal nome stesso della memoria liturgica. Il termine “commemorazione” richiama infatti la dimensione comunitaria come tono costitutivo della giornata. “Cum – memorare” ossia “ricordare insieme” richiama una comunità che si raduna per vivere in forma pubblica la fede nella Risurrezione, facendosi al tempo stesso “madre” che accompagna i suoi figli all’incontro con il Signore e “sorella” vicina a chi vive il mistero del lutto e della sofferenza. Un giorno dunque per riscoprire il dono della Comunione dei santi, inteso come legame inscindibile tra la Terra e il Cielo, che affonda la propria radici nella potenza di Cristo Salvatore. 2 novembre non solo come “giornata della memoria” che si esaurisce in se stessa, ma come sorgente per un rinnovamento della fede capace di nutrire ogni momento del cammino della vita.

Edoardo Varese, don Carlo Cattaneo

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