La democrazia non è solo una procedura, ma un luogo di valori viventi

Non è cosa facile riassumere i contenuti della Settimana sociale di Trieste. In primis perché le cose da vedere (le cosiddette “buone pratiche”) e le persone da ascoltare erano veramente tante. Il menu delle nostre giornate era ricchissimo: prima riflessione biblica, poi sessione plenaria con ascolto di relazioni, quindi lavori nel gruppo assegnato, e per finire, nel pomeriggio, le “Piazze della democrazia”, incontri con esperti sui temi caldi, con interazione da parte del pubblico. C’è, quindi, nella Settimana sociale, un discorso dall’alto, fatto dalle autorità e dagli accademici, impostato dal Comitato scientifico; e poi c’è un discorso dal basso, quello dei gruppi di lavoro, che rielabora il primo, lo accoglie, lo integra, lo completa e talora lo contesta.

VALORI VIVENTI Per cercare di fare luce su questa matassa, in attesa dei documenti ufficiali che rappresenteranno il risultato della Settimana, proviamo a partire dai temi, che ci impone la realtà stessa. Al problema fondamentale dei rapporti tra i cattolici e il pensiero e la prassi democratica si aggiunge, in questi anni, la “crisi” della democrazia. “Crisi” è originariamente, termine medico: la nostra democrazia, quindi è malata. Esteriormente sta bene: per noi europei occidentali, almeno, si tengono elezioni perché decidiamo i nostri rappresentanti. Ma qui arriva il punto: come ci ha ricordato il presidente Mattarella, la democrazia non è solo una procedura. Essa è anche un mondo di valori viventi, e perciò si deve reggere su una certa concezione dell’uomo e della storia e quindi di Dio. Il criterio di valutazione di qualsiasi discorso sulla politica, dalla mera teoria alla stretta attualità, è la prossimità a questi pensieri radicali e la chiarezza con cui li si affronta. Non a caso il card. Zuppi ha detto, nel suo discorso inaugurale, che il cuore della democrazia è la persona. Fin qui, niente di nuovo; il concetto di persona è sempre stato il passaggio obbligato per l’incontro tra pensiero cattolico e pensiero democratico laico. Ciò vuol dire che la ratio per cui il cattolico preferisce la forma di governo democratica alle altre è la superiore capacità di affermare e difendere la dignità dell’uomo.

RECUPERANDO DEL NOCE Che la realizzazione dell’uomo sia il fine del vivere sociale, noi lo crediamo sulla scorta di una concezione di persona che è apertura all’altro non solo per necessità biologiche: come ha ricordato il presidente della Cei, solo nella relazione possiamo apprendere il nostro valore e fare l’esperienza fondamentale del riconoscimento. Fuori dai vincoli sociali, è come se non esistessimo. A questo punto però mi sembra opportuno ricordare la lezione di Augusto Del Noce, la cui assenza tra le “auctoritates” citate in questi giorni può spiegare alcune imponderatezze e superficialità. Secondo Del Noce, a fondamento dei totalitarismi di destra o sinistra, sta un’immagine dell’uomo, per cui esso è in rapporto solo con la società, solo col suo tempo; e diceva che per opporsi a essi bisogna rivendicare nell’uomo un principio spirituale indipendente dalla società, grazie al quale egli è per sé, e quindi persona. A parere di chi scrive, è dunque l’assenza di consenso sulla natura dell’animale-uomo a essere il problema della democrazia del nostro tempo, perché da quella natura parte qualsiasi discorso sui diritti che non sia un elenco di esigenze individualistiche, e perché se si esce dai nostri ambienti questi discorsi sulla natura umana fanno sorridere.

VERA INCLUSIONE Quell’umanesimo (laico o cattolico) che il card. Zuppi ha definito la nostra identità (di italiani e di europei) è da tempo combattuto, nell’alta cultura, dai “maestri del sospetto” (Marx, Nietzsche, Freud, Foucault), e nella vita quotidiana da tecnologie con potenziale alienante come lo smartphone e l’intelligenza artificiale. Se davvero il cuore della democrazia è la persona, e una certa idea di persona che ne esclude un’altra, allora l’abusata parola “inclusione” non può essere giocata così astrattamente, cioè senza determinare le condizioni, i modi, gli oggetti dell’inclusione. A parte queste astrattezze, da intendere forse come allusioni a un’alleanza possibile col campo progressista, i delegati nei loro gruppi sono stati chiamati a formulare proposte per coltivare la partecipazione della società civile, a partire dalle realtà locali e in particolare dai giovani. La Settimana sociale è bella perché è una vera esperienza ecclesiale: esperienza delle nostre differenze colte in unità e della vocazione al servizio del mondo e degli uomini.

Pietro Colombo

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