Dopo un anno è ancora l’unica parola che manca.
La pace si è persa alla prima comparsa della nebbia di guerra e non è più stata ritrovata, cosicché «diventa reale il rischio di aggirarsi come sonnambuli sull’orlo dell’abisso».
Le parole di Jurgen Habermas, filosofo tedesco nel solco della “teoria critica” della Scuola di Francoforte, danno il senso da un lato del rischio che l’umanità corre e dall’altro dell’inconsapevolezza della classe dirigente chiamata ad affrontare la crisi.
INDIZI Eppure i dati sono eloquenti. Dal 24 febbraio, giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia in violazione del diritto internazionale, secondo le stime degli Stati Uniti e della Nato sono circa 200mila i soldati russi uccisi o feriti, altrettanti è possibile stimarne tra le fila degli ucraini, ai quali occorre aggiungere almeno 7199 civili morti e 11756 feriti secondo quanto rilevato dall’Onu. Numeri che crescono col procedere dei combattimenti e che non trovano un riscontro ufficiale, in quanto entrambi i governi hanno tutto l’interesse a non diffondere i dati reali sulle perdite subite, temendo il contraccolpo sul morale delle rispettive popolazioni, sempre più mobilitate: in Ucraina, con la legge marziale, a tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni è stato vietato di lasciare il paese in quanto potenziali coscritti, in Russia la mobilitazione parziale ha coinvolto finora 300mila riservisti da aggiungere ai 200mila effettivi con cui è iniziata l’invasione. Tutti da equipaggiare, armare, rifornire: l’economia russa è di fatto ormai un’economia di guerra, Kiev può fare invece affidamento sui rifornimenti della Nato ed europei, anche se il segretario dell’Organizzazione Stoltenberg ha dichiarato a gennaio che
gli alleati della Nato e i membri dell’Ue hanno esaurito i loro stock
Del resto la Russia lancia in media 20mila proiettili d’artiglieria al giorno, l’equivalente della produzione europea in un mese.
ECONOMIA Un ritmo insufficiente, tanto che secondo lo stesso Stoltenberg «il 2% del Pil in spesa militare dovrebbe essere visto come punto di partenza e non traguardo». Del resto nonostante le sanzioni abbiano pesato per un -2.5% sul Pil dell’Ue nel 2022 (fonte Eurostat) e nonostante l’Unione abbia stanziato 30 miliardi di euro negli ultimi dodici mesi, cui se ne aggiungeranno almeno altri 18 nel 2023 e al netto di quanto hanno disposto i singoli stati (l’Estonia ha investito l’1% del Pil per sostenere lo sforzo ucraino), circa il 15% dell’Ucraina è ancora occupato e per il liberarlo il presidente Zelensky chiede carri armati (a partire dai tedeschi Leopard e dagli statunitensi Abrams, promessi e in arrivo nelle prossime settimane e mesi), missili a lungo raggio, caccia, dotazioni che sono limitate tra gli stessi paesi occidentali, che rischiano di trovarsene privi in altri scenari (acceso è il dibattito sul tema negli Stati Uniti, dove si teme di scoprirsi nel sud-est Pacifico) e allo stesso tempo di alimentare un circolo vizioso: «Nella prospettiva di una vittoria a tutti i costi – scrive ancora Habermas in un intervento pubblicato da “La Repubblica” – l’incremento qualitativo delle nostre forniture di armi»
ha preso un abbrivio che potrebbe portarci più o meno senza accorgercene oltre la soglia di una terza guerra mondiale
OBIETTIVI Inconsapevolmente, appunto, perché non si ha conoscenza dei propri obiettivi. Li conosce l’Ucraina, la vittoria e la riconquista di tutti i territori occupati; la Russia, la creazione di un’area cuscinetto per allontanare il confine con la Nato e riaffermare lo status di impero, martedì Putin ha chiarito che «l’obiettivo dell’Occidente è portare la Russia a una sconfitta strategica, vogliono eliminarci per sempre. Non si rendono conto che è in gioco l’esistenza stessa della Russia» rispecchiando, a prescindere che sia vero o meno, la percezione russa; gli Stati Uniti, il presidente Biden nella sua visita a sorpresa a Kiev lunedì scorso ha riaffermato «il nostro incrollabile e instancabile impegno per la democrazia, la sovranità, l’integrità territoriale dell’Ucraina»; invece nessuno sarebbe in grado di definire quelli europei. Perché nessuno li ha fissati, nonostante l’urgenza di farlo perché i due scenari sul tavolo, vittoria dell’Ucraina o della Russia, non sono auspicabili.
Il primo equivarrebbe all’implosione della Russia, destabilizzante per tutta l’Eurasia, da Lisbona a Pechino, il secondo alla cancellazione di una nazione e alla reazione di tutte quelle confinanti (membri Nato), da Tallin a Bucarest; in entrambi i casi con una possibilità reale di terza guerra mondiale, per alcuni, come papa Francesco, già in atto.
Ecco perché serve un terzo schema, quello della pace, che proprio il Papa per primo ha chiesto e continua a chiedere a gran voce: «A quante altre tragedie dovremo assistere – scrive in “Un’enciclica sulla pace in Ucraina” di recente pubblicazione – prima che tutti coloro che sono coinvolti in ogni guerra comprendano che»
questa è unicamente una strada di morte che illude soltanto alcuni di essere i vincitori? Perché sia chiaro: con la guerra siamo tutti sconfitti!
Eppure nei discorsi di Putin, Zelensky e Biden della parola “pace” non c’è traccia, la Cina sembrerebbe voler proporre ora un suo piano, ma per quella che neppure definisce guerra bensì conflitto, e con gli occhi sempre ben rivolti a Taiwan, la “Crimea” cinese che Xi Jinping vorrebbe riportare sotto la sovranità della Repubblica popolare entro il 2049.
RESPONSABILITA’ E l’Europa? Il continente su cui si sta combattendo, tra l’altro negli stessi teatri della seconda guerra dei trent’anni (1914-45) a cui sempre più quella attuale somiglia, è silente. Attribuisce il peso di stabilire la durata della guerra e le modalità della sua conclusione al governo ucraino, che di certo ha voce in capitolo, ma non è il solo a portare la responsabilità della pace, che, come ha spiegato in una recente intervista l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, «è una situazione guarita, non un nuovo inizio, senza memorie e senza ferite». Appare irrealistico chiedere a chi sanguina di curare e medicare da sé le sue piaghe. Come ha sottolineato Mario Giro, ex vice ministro degli esteri e membro della Comunità di Sant’Egidio, «le guerre vanno spente» attraverso «l’esercizio della politica, così difficile, ma insieme così nobile» (Gaudium et Spes): «Con la stessa intensità con cui si è aiutato gli ucraini a resistere – argomenta Giro intervistato da Presadiretta – bisogna trovare una strada politica» accanto e quindi in sostituzione di quella militare, foriera di nuovi conflitti, ricordando che «la pace non è debole» e che «su questo conflitto non c’è stata ancora la volontà politica, anche di soggetti terzi, di dire adesso troviamo una soluzione, perché tanto si arriverà a quel tavolo». A patto che qualcuno lo apparecchi con accordi di disarmo, economici, sullo status dei territori contesi, garanzie internazionali, strumenti di dialogo in caso di crisi, strategie di riappacificazione tra i popoli, il tutto con il coinvolgimento delle due parti in causa, delle altre inserite nello stesso contesto regionale – dalla Bielorussia alla Polonia, dalla Moldavia alla Romania, dagli stati baltici all’Ungheria – e dagli altri attori coinvolti, Stati Uniti, Ue, Cina, Turchia.
Giuseppe Del Signore