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Ucraina / fratelli davanti all’abisso

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un momento della protesta di Euromaidan del 2014

A prescindere dall’esito scontato dell’invasione russa dell’Ucraina, ci sono alcune possibili riflessioni che vanno oltre le affermazioni che circolano sui media. Due popoli che sono un popolo solo, che ha la stessa origine, la stessa storia e una lingua con gli stessi suoni, tanto da farci pensare che si tratti di uno scontro epico tra Caino e Abele. Due popoli che è veramente difficile distinguere dal punto di vista degli ideali, del sentimento di nazione, di Patria e da quello di famiglia, capaci di sopportare in nome dell’identità nazionale privazioni e perdite sconosciute ad altri popoli.

PRIMA LE PIAZZE L’epilogo odierno dei rapporti tra Ucraina e Russia trova il suo punto di svolta nella Rivoluzione Arancione del 2004 che si rinforza nella cosiddetta seconda rivoluzione, quella del 2014, definita di “Piazza Maidan” a Kiev. L’avvicinamento all’Europa e il progressivo distacco anche politico dalla Russia porta all’allontanamento del filorusso Janukovyc e alla vittoria dell’attuale Presidente, Vladimir Zelensky, con il 70% dei voti. Piazza Maidan, centro e luogo del sacrificio dei patrioti per la conquista della nuova libertà, era nel febbraio del 2014 occupata da indecifrabili movimenti, alcuni di ispirazione nazionalista e addirittura neonazista, accomunati dalla voglia di staccarsi da Putin, riconquistare la libertà dagli oligarchi ucraini legati alla Russia e finalmente tentare un accordo con l’Ue. La risposta di Putin è storia: l’invasione del Donbass e l’annessione della Crimea come primo passo per riconquistare quello spazio considerato vitale e vissuto come un pericoloso accerchiamento di forze nemiche.

02 PP Ucraina - Euromaidan
un momento delle proteste di Euromaidan del 2014

FRATELLANZA TRADITA L’eterna storia di Caino che uccide Abele? Fratelli accomunati da un profondo spirito nazionalistico costruito da storia e indole comuni ma che ormai si rivolge a ideali diversi. E ancora, Russia e Ucraina sono legate da parentele strettissime: fratelli, cugini, nonne e nonni in quella miscellanea voluta dall’ex Unione Sovietica che colonizzava tutti i suoi territori coagulando le etnie, esportando famiglie intere e tentando di uccidere i localismi nemici del popolo sovietico. Qualche mese fa mi trovavo ospite di amici nella zona russa al confine con l’Ucraina in corrispondenza di Karkiv (regione da cui è passata gran parte delle truppe che assediano ora la città). Ognuno dei miei ospiti aveva un fratello, un cognato un cugino al di là del confine con scambi e visite continue. Il tutto vissuto assolutamente in modo naturale, come se il confine non esistesse. Eppure, ancor oggi, in queste zone povere dove molti trovano l’unico lavoro possibile nell’esercito, Putin incarna il Grande Orso, potente difensore della Madre Russia. La convinzione che solo un uomo forte possa mantenere uniti gli sterminati territori russi, così come avevano fatto gli Zar, è ancora presente, con una ammirazione verso un uomo che incarna tutti i valori virili per cui i russi hanno combattuto nei secoli. Via gli orpelli della democrazia, lontani dai debosciati europei che sono in evidente decadenza umana e valoriale, Putin ha favorito anche il riavvicinamento a una religione ortodossa controllata dal potere politico, ma che dà l’illusione di rispettare le tradizioni russe. Negli ultimi WhatsApp (Facebook e Messenger non funzionano più) gli amici di questo territorio sono euforici e scagliati contro il mondo occidentale rappresentato dai loro media come il male, da tener lontano come l’invasore pronto a rubare tutto ai russi.

AL DI LA’ DEL CONFINE Diverso l’atteggiamento nelle grandi città come Mosca e soprattutto San Pietroburgo. Pietroburgo, ex Leningrado, capitale di una regione ai confini con la Finlandia e con un grande porto che commercia soprattutto con l’Europa, città natale di Putin, che si dice essere il nipote del cuoco personale di Stalin, ha appena rotto il gemellaggio trentennale con Milano a causa dei Gay Pride favoriti dall’amministrazione comunale negli ultimi anni. L’ultimo WhatsApp di un amico ingegnere moscovita cerca di tradurmi in inglese una frase di Bismarck che recita pressappoco così:

Il potere della Russia potrebbe essere minato solo separando l’Ucraina da essa… L’Ucraina non dovrebbe essere strappata via dalla Russia e questa operazione va assolutamente contrastata. No a un fratello che uccide l’altro…

Continua dicendo che tutti i pietroburghesi si sentono in pericolo e che hanno molta paura del futuro. Ripenso a una lunga conversazione avuta qualche tempo fa con un gruppo di amici insegnanti di Pietroburgo in cui mi veniva fatto presente che in Russia, come in Italia, da anni ci si accontenta dei governanti che la sorte ci riserva. «Non ci è arrivato niente di meglio negli anni e in fondo nelle grandi città non si vive poi tanto male. Certo prima o poi cambieremo anche se all’orizzonte nessun politico è in grado di prendere le redini della Grande Russia». «Difficile – rispondevo io – aspettarsi un cambiamento da un signore che ha cambiato la Costituzione assicurandosi il potere fino al 2036. Forse – ribadivo davanti ai miei interlocutori rassegnati nel profondo fatalismo russo – 22 anni di potere ininterrotto hanno favorito una qualche disarmonia nella percezione della realtà che sfocia talvolta nella paranoia». La guerra inaspettata e fratricida cui stiamo assistendo è l’epilogo dell’immobilismo del popolo russo di fronte a un Presidente che, creando l’illusione di riportare la Russia agli antichi fasti imperiali, è disposto a giocarsi tutto, trascinando con sé anche un popolo che non si merita tutto questo.

Paolo Colli

Responsabile progetto scambio buone prassi inclusione scolastica Milano – San Pietroburgo

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