Il secondo comandamento non è solo la proibizione di bestemmiare, ma è un invito a invocare il nome di Dio con verità, ad entrare in un rapporto totalizzante con Lui. Un’interpretazione riduttiva ha fatto riferimento quasi esclusivamente a un linguaggio irriverente nei confronti di Dio e poi, per estensione, della Madonna. Ecco come ci viene consegnata la seconda Parola nel Libro dell’Esodo:
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Dobbiamo abituarci a cercare nelle Dieci Parole non semplicemente cosa ci sia di proibito, ma cosa vi sia annunciato di positivo e di liberante. Dio ama essere invocato per nome, ci chiede di prendere su di noi (letteralmente il verbo che traduciamo con pronunciare significa farsi carico) il suo nome e questo è possibile perché lui per primo e per sempre si è fatto carico del nostro nome fino in fondo, persino del male che c’è in noi. Cerchiamo di addentraci un poco nella comprensione del significato del nome. Nell’antico Oriente il nome aveva una grande importanza perché indentificava sia una determinata persona sia la familiarità di un rapporto. Due esempi a titolo esemplificativo: sia Abramo sia Simon Pietro ricevono un nome nuovo che sta a significare il cambiamento della direzione della loro vita. In riferimento a Dio, conoscere il suo nome significa entrare con lui in un rapporto vitale che trasforma la vita. Nell’incontro misterioso del roveto ardente Mosè chiede a Dio il suo nome: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Mi diranno: Qual è il suo nome? E io che cosa risponderò loro? Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”» (Es 3,13-15).
Il nome di Dio è un rapporto: il Dio trascendente è colui che ti chiama e cammina con te. Dal momento in cui Mosè conosce il nome di Dio cambia sia la sua storia personale come quella di tutto il popolo. Rivelando il suo nome Dio cerca un rapporto di alleanza, di comunione, fino a farlo pienamente possibile nel volto umano di Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi. Ciò che Dio non vuole è l’atteggiamento di chi cerca di appropriarsi del suo nome strumentalizzandolo, cioè utilizzandolo per scopi che nulla hanno a che fare con la sua volontà che è volontà di salvezza. Siamo così rimandati a una verifica seria della professione della nostra fede. Concretamente, quando il nome di Dio è pronunciato invano? Ogni volta che il riferimento a lui è utilizzato per qualche vantaggio personale, quando la relazione con lui è vissuta falsamente, quando finalità estranee vengono introdotte per esaltare la professione di fede o per difendere i cosiddetti “valori cristiani” con modalità che hanno ben poco di cristiano. Dio ci rivolge un invito a vivere un rapporto sincero, libero da ipocrisie, fatto di affidamento leale. Questo stesso invito lo ritroviamo nella preghiera che Gesù ci ha insegnato: “Padre, sia santificato il tuo nome”. Diceva Papa Francesco che «fino al giorno in cui non rischiamo l’esistenza con il Signore, toccando con mano che in Lui si trova la vita, facciamo solo teorie». Che la nostra vita possa manifestare il nome di Dio e rendere credibile agli occhi del mondo il suo amore per tutti.
don Paolo Ciccotti



