La Parola di Gesù suscita notevole interesse. Luca, nella pagina del Vangelo che proclameremo la prossima domenica (V del Tempo Ordinario), non entra in merito ai motivi che spingono le folle a cercare Gesù e a ritenere assolutamente «necessario» lo stare con lui.
Sta di fatto che l’uomo, nella profondità del suo cuore, desidera questo incontro. La sua Parola nutre la speranza di una vita «rinnovata». L’occasione è propizia: Gesù, nel cogliere tutta la delusione di Pietro e dei suoi compagni per la pesca «mancata», entra con discrezione, quasi «in punta di piedi», nel dramma del fallimento. Ecco la Parola: «Prendi il largo e gettate le vostre reti» (Lc 5,4); una Parola che si rivela immediatamente degna di fede, appunto affidabile, nonostante la condizione apparentemente avversa. Su questa Parola, la pesca è abbondante, eccedente, sopra ogni pensabile e razionale aspettativa. L’episodio istruisce una precisa «dinamica»: l’appello suscitato dalla Parola coinvolge l’uomo nella sua integrità e lo conduce al riconoscimento autentico di sé, orientandolo così alla decisione. A questo proposito, infatti, stupisce notevolmente la reazione di Pietro. L’accadere della Parola genera in lui la consapevolezza del proprio limite e della fragilità ;
Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore (Lc 5,8).
A ben vedere, è la stessa percezione che «abita» la vocazione profetica di Isaia (I lettura), che si riconosce «uomo dalle labbra impure» (Is 6,5) e l’esperienza di Paolo (II lettura), il quale non perde occasione per ricordare la feroce persecuzione, che lui stesso ha compiuto nei confronti della Chiesa di Cristo. Questa «intuizione di limite», di debolezza e di esposizione al potenziale fallimento sollecita, ancora una volta, il dinamismo della fede: proprio lì si riconosce la potenza della Parola che solleva, «fa risorgere» e trasfigura l’esistenza di ogni uomo. Proprio in questo «alveo» si manifesta la prossimità personale di Dio, che trova la sua pienezza in Gesù e nel dono dello Spirito. Proprio dove l’uomo sembra toccare con mano il fallimento della propria esistenza, si manifesta la sublime potenza della grazia, che, semplicemente, attesta e ricorda come sia sempre Dio a tendere per primo la mano, a «muovere» il primo passo. Il riconoscimento, dunque, l’esperienza di questa grazia sovrabbondante che, nel precederla, «avvolge» la libertà dell’uomo, diventa il fondamento per l’annuncio. L’incontro con Cristo permette così di comprendere il senso profondo dell’espressione di Paolo: «a voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1Cor 15,3). Ci poniamo ora una «semplice» domanda: che cosa dicono a noi queste narrazioni di vita attestate dalla Scrittura? L’esperienza di Isaia, di Paolo e di Pietro, diventa «indice» dello «stile» di Dio: Egli, in Gesù e nel dono dello Spirito, ci offre gratuitamente – senza necessità di avvallare alcun merito – la sua alleanza, appunto, il suo «esserci», stimolando così quella «capacità », nella fede, di scegliere, di decidere e di plasmare tutta la nostra vita, pur nel confronto con la fragilità , come risposta a quell’appello, che «prefigura» la realizzazione piena e autentica della nostra libertà filiale. Insomma, lasciamo che la Parola di Dio – che è Parola di libertà – «scalfisca» il nostro cuore: l’accadere «travolgente» della grazia e della presenza di Cristo ci renda testimoni proprio di questa esperienza: lì, si schiude (come promessa) il senso della nostra esistenza irripetibile, del nostro agire e della nostra libertà .
don Guido Maria Omodeo Zorini