Alzheimer, scoperto un nuovo gene responsabile dell’esordio tardivo

Il 2025 inizia con un importante risultato raggiunto nello studio dell’Alzheimer. È stato scoperto da diversi gruppi di ricercatori italiani, coordinati dall’Ospedale Molinette di Torino, un nuovo gene coinvolto nella malattia, il Grin2c. Una scoperta importante per la medicina, in quanto chiarisce la comparsa della malattia a esordio tardivo, da sempre meno chiara rispetto a quella precoce.

RICERCA Lo studio, pubblicato sulla rivista “Alzheimer’s Research & Therapy”, ha seguito per diversi anni una famiglia del nord Italia, includendo membri affetti e non affetti dalla malattia. «La malattia di Alzheimer è un disturbo neurodegenerativo progressivo in cui fattori genetici e ambientali contribuiscono allo sviluppo della malattia – si legge nello studio – Mentre l’Alzheimer a esordio precoce ha determinanti genetici ben definiti, la base genetica della malattia a esordio tardivo rimane meno chiara».

L’aver identificato questa nuova e rara variante ha dimostrato gli effetti che questa mutazione provoca in modelli cellulari, incrementando e alterando il legame di questa proteina con altre proteine neuronali.

NUMERI Il risultato ottenuto dalla ricerca è quindi un tassello molto importante per lo studio di quella che è ormai una vera e propria pandemia. Secondo i dati aggiornati dell’Osservatorio Demenze, circa 1.100.000 persone soffrono di demenze, di queste circa il 50-60% sono malati di Alzheimer (600 milioni), con un coinvolgimento di circa tre milioni di persone direttamente o indirettamente coinvolte nella gestione di questi soggetti. Caregivers e personale sanitario al primo posto. Dati che sono la punta di un iceberg. Secondo una proiezione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si stima che le persone affette da Alzheimer, ma in generale da demenze, raggiungeranno i 78 milioni entro il 2030.

METODO Arrivare all’individuazione del gene è stato possibile attraverso le più moderne tecniche genetiche. «È stato estratto il Dna genomico dai membri della famiglia e inizialmente analizzato per mutazioni patogene nei geni App, Psen1 e Psen2 – si continua nello studio – oltre a essere sottoposto a screening per 77 geni associati a condizioni neurodegenerative». Non solo scoperte, ma anche conferme. Uno degli aspetti più significativi della ricerca è «la conferma del ruolo che i meccanismi di eccitossicità correlata al glutammato possono avere nello sviluppo della malattia – si legge – Quando il glutammato interagisce con il recettore Nmda sui neuroni, si apre un canale che promuove l’ingresso di ioni di calcio. Se la stimolazione è eccessiva, si arriva a un’intensa eccitazione del neurone che porta alla morte cellulare».

DEPRESSIONE Guardando al lato clinico, dallo studio si è evidenziata anche una correlazione tra la comparsa della mutazione e una pregressa depressione. «Prima dello sviluppo del deficit cognitivo i soggetti hanno sviluppato negli anni antecedenti un disturbo dell’umore di tipo depressivo. La necessità di sviluppare nuovi farmaci è fondamentale per rallentare la progressione della malattia».

Rossana Zorzato

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