La migrazione degli infermieri

Integrare gli infermieri stranieri non iscritti all’ordine che lavorano nelle strutture del territorio. Questa una delle iniziative portate avanti dall’Ordine delle professioni infermieristiche di Pavia che, alla luce dei molti professionisti di origine straniera, mette in campo delle attività per ovviare a barriere linguistiche e culturali in primis.

SOLUZIONI «Come ordine non stiamo qui a puntare il dito senza far nulla, ma abbiamo nominato la collega Silvia Cuzzoni, infermiera presso la Fondazione Mondino, per seguire in prima persona l’integrazione degli infermieri stranieri sul territorio – racconta Matteo Cosi, presidente di Opi Pavia – Scopo del progetto è integrare nel più breve tempo possibile questi colleghi, creando una mail dedicata e attività di incontro con gli infermieri in modo da riempire le carenze che mancano, ove ce ne siano, fornendo anche corsi di lingua». Un progetto in partenza a breve.

Nel mese di marzo cominceremo degli incontri all’interno delle Rsa del territorio – spiega – dal momento che la maggioranza di infermieri stranieri è impiegata all’interno di strutture residenziali.

IL CASO L’Italia cerca infermieri all’estero anche perché non è capace di trattenere una fetta significativa di quelli (comunque pochi) che forma: in media solo il 70% dei posti disponibili nei corsi di laurea si traduce in laureati effettivi, cosicché le “nuove leve” non bastano a coprire i circa 13mila pensionati annui e tra queste secondo stime Fnopi (la Federazione degli Ordini) molte scelgono di andare all’estero, almeno 3mila nel 2023, dove le retribuzioni sono più alte. Qui un infermiere guadagna 27.476 euro lordi all’anno su tredici mensilità, con retribuzioni che sono bloccate dal 2018 dopo un precedente blocco decennale. Più nello specifico, si parla di 1.694 euro netti al mese che possono diventare 1.939 dopo trent’anni di carriera. Il risultato è una carenza cronica che va colmata: «Abbiamo stimato tra 80 e 100 infermieri stranieri che lavorano sul nostro territorio e assunti secondo le norme – commenta Cosi – ma la verità è che sono molti i professionisti non iscritti all’Ordine, un vero e proprio ordine nell’ordine. Prima della pandemia gli infermieri stranieri che volevano iscriversi all’ordine dovevano sottoporsi a una verifica delle competenze da parte del ministero – continua Cosi – e in caso le competenze non fossero sufficienti, venivano richieste delle ulteriori integrazioni, tra queste anche un esame di verifica della lingua italiana».

COVID Un percorso di qualifica che però è saltato nel periodo del Covid-19 e che continua a non essere riattivato a tre anni dalla fine dell’emergenza. «Con la pandemia era necessario più che mai avere personale sanitario e questo regolamento era stato messo in stand-by. Lo stato emergenziale si è concluso nel 2022, quindi è chiaro che ora queste proroghe non abbiano più una funzione di supporto alla pandemia, ma siano una via di comodità che la politica ha scelto per implementare il personale infermieristico, ma anche medico, non senza conseguenze». Anche per una conoscenza non approfondita del sistema sanitario italiano. «Vogliamo offrire la possibilità ai colleghi di sviluppare un percorso di integrazione che preveda anche il riconoscimento del titolo presso il Ministero».

Rossana Zorzato

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