Una puzza forte, acre, che prende naso e gola. Si sente spesso in primavera. Si sente molto nelle campagne lomelline. Sono i fanghi. «Fanno male?» si chiedono quanti durante una passeggiata ne incontrano l’odore in campagna. Risposte certe non se ne hanno. Si può dire che questo dipenda dalla composizione stessa di ogni singolo prodotto.
Secondo l’istituto Mario Negri di Milano «l’utilizzo dei fanghi di depurazione come fertilizzanti presenta alcune criticità, riconducibili alla possibile presenza di composti organici nocivi. Si tratta in particolare di: inquinanti organici persistenti (POPs), interferenti endocrini, sostanze farmaceutiche, droghe d’abuso e metalli pesanti. Lo spandimento dei fanghi in agricoltura è quindi associato a problematiche di inquinamento dei suoli, delle falde acquifere e potenzialmente delle colture per consumo animale e umano». Si tratta di un sottoprodotto del processo di depurazione delle acque reflue. Dopo la lavorazione in appositi impianti, sono usati come fertilizzanti in agricoltura (consentendo risparmio e una buona resa), considerato il buon contenuto di sostanze organiche e di minerali come azoto, fosforo e potassio, ma occorre stare attenti a come li si usa.
COSA DICE LA LEGGE La direttiva comunitaria 86/278/CEE vieta l’uso dei fanghi di depurazione quando la concentrazione nel suolo di sette metalli (cadmio, rame, nichel, piombo, zinco, mercurio, cromo) supera i valori limite (che ciascun paese membro dell’Ue può rendere più stringenti), attuata in Italia con il Decreto legislativo 99/1992 e poi oggetto di ulteriori interventi normativi tra cui il Dlgs 152/2006 secondo cui «fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato»; si tratta a tutti gli effetti di “rifiuti speciali”, la cui gestione è affidata dalla Costituzione (art.117) alla competenza esclusiva dello Stato, il quale tramite l’art. 6 del Dlgs 99/1992 ha affidato alle Regioni il rilascio delle autorizzazioni, la possibilità di fissare ulteriori limiti e condizioni d’uso in agricoltura, di stabilire le distanze di rispetto dai centri abitati, di predisporre piani d’utilizzazione agricola, di redigere una relazione annuale, di fissare norme sanitarie per il personale. Infatti nel 2019 è arrivata una stretta da Regione Lombardia che ha abbassato i valori per le sostanze ritenute dannose e ogni anno la Regione approva l’elenco dei comuni in cui vige il divieto di spandimento (per il 2024 l’unico pavese è Costa De Nobili).
RICORSI La legge arriva sull’onda delle pressioni di diversi movimenti ambientalisti, che ne vorrebbero il divieto, ma anche per la moral suasion di diverse amministrazioni comunali che provano a limitare la possibilità di spanderli vicino alle case e tra Pavia e Lodi, portando la battaglia anche a livello più alto rivolgendosi al Tar. Addirittura da Lodi e Pavia partì una proposta di legge regionale con raccolta di firme. C’è stato chi ha modificato il regolamento comunale e chi il Piano di governo del territorio, provocando ricorsi al Tar delle società che si occupano della depurazione.
Ricorsi spesso vinti, specie quando la restrizione riguarda le distanze di rispetto, di competenza regionale.
LA SITUAZIONE A livello nazionale, secondo l’ultimo rapporto Ispra (2023), nel 2021 sono stati prodotti 3.2 milioni di tonnellate di fanghi da acque reflue urbane, di cui 487.371 in Lombardia (il 15.1%, in aumento di anno in anno dal 2019), il 52,3% delle quali viene avviato ad operazioni di smaltimento e il 45,6% a recupero. La Lombardia, con 902mila tonnellate gestite (29.8%) «è la regione in cui sono gestite le maggiori quantità», con una prevalenza di operazioni di riciclo/recupero di sostanze organiche (51.3%, usate «come solventi» per «operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche»), mentre la provincia di Pavia è al primo di posto in Italia per la produzione di “gessi di defecazione da fanghi” con 319383 tonnellate (il 71.4% del totale nazionale). Si tratta di «una specifica tipologia di “correttivi calcici e magnesiaci”» ottenuta con idrolisi di fanghi da depurazione. In Lombardia, anche per il processo in corso a Brescia per spandimento illegale (relativo alla vendita di 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, una parte dei quali arrivata anche in provincia di Pavia), il tema è sensibile. Già nel 2018 le linee regionali prevedevano un incremento della termovalorizzazione, che doveva passare in primis da un impianto innovativo a Sesto San Giovanni, ma anche da Parona. Al momento non sembra esserci stato un progresso notevole in questa direzione, a oggi solo il 12% è incenerito e la maggior parte finisce in discarica o sui campi.
Un agricoltore lomellino: «Li ho provati una volta e non lo farò mai più»
«Fanghi? No grazie». Chi parla è un agricoltore lomellino che li ha provati una volta. E non pensa di usarli ancora. Anche perché spandere i fanghi sui suoi campi gli ha «bruciato» il raccolto di un’intera annata, causando alla sua azienda agricola un danno economico non indifferente.
LA VICENDA La decisione di spandere i fanghi aveva provocato diverse proteste nel suo paese, dove il comune ha deciso approvare un regolamento che pone un limite di spandimento, per evitare che venissero messi vicini alle case. Causando non pochi attriti con l’agricoltore stesso. E molti residenti non avevano apprezzato la scelta, che in un primo tempo doveva portare a un risparmio, ma in realtà ha comportato un mezzo disastro per il raccolto di quell’anno. E anche una coda giudiziaria, perché alla società (con sede in Lomellina) che ha fatto lo spandimento sui campi, l’agricoltore ha fatto causa. «Il problema – spiega – è che l’abbondanza di azoto, non ti consente una produzione sufficiente a ripagarti le spese. Praticamente non ti fa fare la produzione. Ti ritrovi con piantine di riso senza chicchi. Detto in parole povere non hai niente». Lo spandimento risale al 2019, oggi le cose sono un po’ diverse.
Di sicuro – prosegue il racconto – c’è una situazione migliore, perché sono migliorati i distributori, grazie a macchine più professionali, che possono controllare meglio e non ti mangiano più il prodotto, anche se dal mio punto di vista il dubbio rimane. E comunque non sarò certo io a riprovarci.
CONTROLLI E RISPARMI Fin dall’inizio la questione principale è stata quella dei controlli, che sono difficili da effettuare, perché richiedono una competenza e dei mezzi che non tutti hanno. «La ditta che spande i fanghi – afferma – fa tutto, ma non è semplice verificare. Dovresti tu prendere un barattolino di fanghi e andare ad analizzarli, perdendo tempo e denaro. Quindi alla fine il fatto è che ti devi fidare». Chi non si occupa di agricoltura però si chiede le motivazioni che portano un agricoltore ad accettare i fanghi sul proprio terreno. «Si tratta – continua – di una questione di risparmio. Spandendo i fanghi risparmi il gasolio, il costo della manodopera e il costo del concime. Insomma si può dire che sia un bel risparmio, anche attorno ai 5 o 6 mila euro, in base alla dimensione dei campi, a patto che non rovinino completamente il raccolto. Come è capitato a me».
Andrea Ballone (ha collaborato Gds)