Quando? La domanda che ha conquistato il centro della scena. Una parola che racchiude le speranze e le paure non solo lomelline, ma del mondo. In Italia il premier Giuseppe Conte ha aperto alle ipotesi quando ha parlato della «fase due, che è quella di convivenza col virus» e poi della «fase tre, il ritorno alla vita normale, il tempo della ricostruzione». Da qui è fiorito il dibattito, tra “ottimisti realisti” che vorrebbero far cadere le prime restrizioni già dopo Pasqua per non compromettere oltre l’economia, i “temporeggiatori” che preferirebbero aspettare prima segnali dall’andamento dell’epidemia, i “pessimisti oltranzisti” che ritengono non sia ancora il momento. In tutte e tre le posizioni ci sono elementi da non scartare a prescindere, che si tratti dell’impatto su sistema produttivo e occupazione, della difficoltà di confrontarsi su scenari in evoluzione rapida, del non parlare con leggerezza di riaprire quando ancora si chiudono le bare di centinaia di persone ogni giorno.
SCENARI Le discussioni saranno di natura tecnica e coinvolgono sia la scienza sia la politica – anche questa richiede una sua tecnica che non può essere improvvisata – molti modelli ragionano di una presenza del Sars-CoV-2 per mesi, se non fino al 2021 inoltrato; basti citare lo studio del britannico Imperial College, che ha spostato il governo inglese dalla strategia della “immunità di gregge” a quella della “mitigazione”, per poi optare per la “soppressione”, la stessa vigente in Italia. Secondo gli autori della pubblicazione, che è tarata su Regno Unito e Usa, ma estendibile ad altri stati, si potrebbe avere un isolamento totale per un tempo variabile da 3 a 5 mesi, per poi mitigare i provvedimenti presi; a questo punto il virus, che non è stato debellato, tornerebbe a farsi sentire rendendo necessario un nuovo periodo di isolamento, in un ciclo destinato a ripetersi almeno per 18 mesi. Il tempo ritenuto necessario per avere un vaccino non solo efficace, ma in un numero di dosi adeguato.
PREPARAZIONE Viste le incertezze perciò la domanda per l’Italia non è tanto “quando?” bensì “come?”. Il tempo che separa dall’isolamento totale alle prime aperture sarà ben investito se ci sarà una riflessione approfondita sulle modalità e sugli strumenti da adottare; non solo mascherine, e l’approvvigionamento è già sfida sia produttiva sia logistica, servirà la tecnologia per tracciare gli spostamenti, realizzare mappe del contagio, intervenire sulla falsariga di quanto accaduto in Corea del Sud, ma occorreranno anche interventi normativi capaci di eliminare storture burocratiche e lacune strutturali storiche del Belpaese, oltre che una cittadinanza capace di recuperare con comportamenti responsabili quello spazio di comunità che la clausura ha cancellato. Un rivolgimento guidato da una classe dirigente che dovrà essere capace di mettere in campo competenze, prettamente umanistiche, all’altezza del compito immane che la attende a livello nazionale e nel confronto internazionale.
CAMBIAMENTI Tutto questo per vivere in un “Nuovo mondo” e non in quello di prima. Le popolazioni native americane modificarono il loro stile di vita, non vuol dire che accadrà esattamente lo stesso, le differenze sono notevoli né la storia ama ripetersi.
ma il cambiamento si imporrà. Dalle relazioni (come si interpreterà la prossimità?), alle infrastrutture (i termo scanner resteranno e il settore trasporti – merci e persone – sarà trasformato come dopo l’11 settembre), alla vita in pubblico (come si svolgeranno un concerto, una partita o un’udienza papale?), alla fruizione di beni e servizi (i cinema saranno meno affollati, così come i ristoranti? Avremo accessi contingentati ai luoghi pubblici?). Anzi, si è già imposto
Giuseppe Del Signore