Il prete avveduto che salvò Gambolò dalla peste

In tutta la primavera del 1630 la peste aveva martoriato tutta la Lombardia. Il popolo affamato ed impaurito non sapeva più a che santo rivolgersi. Le autorità spagnole, in balia degli eventi, avevano ordinato tante cose: il bucato, la pulizia delle strade, il divieto di vendere la masserizie degli appestati e l’obbligo di bruciarle, tuttavia le cose non miglioravano per niente. Un maggio particolarmente caldo ne aveva prolungato l’effetto. Milano e tutte le comunità dalle più grandi alle più piccole si stavano spopolando sia per i morti sia per l’abbandono delle loro case da parte dei ricchi in cerca di località isolate e non ancora toccate dal “terribile morbo”.
Non si trovavano più ne medici, ne speziali ne altre persone che potessero dare un qualche aiuto. Il quadro drammatico e devastante di quell’anno è il racconto che ne fece il grande Manzoni ne “i Promessi sposi”.

A Milano le autorità spagnole, il vice re e tutta l’alta nobiltà non trovò di meglio che fare grandi pressioni sul cardinal Federico Borromeo per poter fare una grande processione per Milano con il corpo di san Carlo canonizzato nel 1610 santo e grande protagonista della lotta alla peste del 1576. Federico si ricordava certamente di questo avvenimento che aveva coinvolto tutta la città, quando lui aveva dodici anni.
Il nobile prelato era combattuto da mille pensieri. Sapeva della devozione dei milanesi al suo venerato cugino, sapeva anche che quando san Carlo aveva indetto la grande processione del 1576 per allontanare la peste, il morbo si era invece ripreso con maggior forza, causando la morte di altre migliaia di milanesi. Aveva scritto, inascoltato, un libro sulla pestilenza, da testimone oculare. Era avvertito di molti problemi, avrebbe preferito forse non accogliere questa richiesta, ma poi cedette. L’ 11 giugno 1630 si fece la processione. Parteciparono tutti i milanesi che ancora si reggevano in piedi ma poi il risultato fu inevitabile. Le morti cominciarono ad aumentare fino a raggiungere i 200 morti al giorno. Milano diventò la città dei morti, nella quale scorrazzavano monatti e personaggi di malaffare. La peste continuò ad infierire fino al 2 luglio quando cominciò ad esaurirsi. I milanesi da allora continuarono a festeggiare questa data fino al 1890 con grande festa e spese da parte del comune.

A Gambolò invece le cose non solo non andavano meglio. Avevano chiuso porte e portoni, posti gli armigeri all’ingresso del borgo, istituita la guardia sulle mura. La comunità era coinvolta in pieno nei terribili momenti. Si era fatta la spesa dei medicinali, di grani e farine per i poveri, allertato il medico che prestava un servizio ben remunerato di sessanta soldi d’oro ricavati dal lascito del cardinal Bianchi, sono sospese tutte le sentenze ma l’ “horrenda peste” non cala. La paura nel paese aumenta di giorno in giorno. Per disposizione del comune non suonano più le campane a morto, la maggior parte dei morti viene sepolta cosparsa di calce viva, dietro la chiesa di sant’Eusebio, ove ora si trova la Madonna della Chiostra. L’angoscia è palpabile, lo sconforto è tale che la gente non ha più neppure il coraggio di andare in chiesa. Allora il prevosto di sant’Eusebio, don Giacomo Gallo, che governava la parrocchia dal 1618 e conosceva molto bene gli umori dei suoi fedeli, prende la decisione migliore che potesse prendere. Sul registro dei battezzati annotò ai primi di ottobre del 1630 in buon latino, che traduco,

poiché in questo mese la peste flagella orribilmente il paese e la gente ha il terrore di uscire dalle case, ho preso la decisione di battezzare i piccoli solo con l’acqua, fuori dalla chiesa. Se il Signore ci darà la grazia di sopravvivere, quando sarà finita la tempesta, richiamerò tutti i fanciulli per celebrare con loro la solenne liturgia del battesimo e le preghiere di rito.

Tra ottobre e i primi di novembre davanti a sant’Eusebio nell’ampio cortile antistante la chiesa battezzò dodici fanciulli. Più tardi a gennaio si presentarono in due per ricevere le benedizioni e le unzioni di rito. Alla fine di novembre, la peste andò scemando e scomparve. Fu l’ultima volta.
Don Giacomo Gallo rimase a reggere la parrocchia fino al 1663 e per sua fortuna dovette affrontare altri pericoli ma la peste non fece più ritorno.

Franco Marinone

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