L’Intervista / Gianpiero Magnani, da 27 anni contro le fiamme

Iniziò tutto 27 anni fa da un gruppo di lavoratori della raffineria Eni di Sannazzaro, che pensò di mettere a disposizione di tutti gli altri cittadini le proprie capacità di spegnere gli incendi. Nacque così il Gruppo Lomellino di Primo intervento, riconosciuto come Protezione Civile, che oggi vanta 26 volontari, 11 dei quali certificati Aib, cioè specializzati nello spegnimento degli incendi boschivi. Gianpiero Magnani, lei è il presidente e fondatore di questa realtà: come si è arrivati a questo?

«Possiamo dire che in provincia di Pavia la certificazione per incendio boschivo sia nata un po’ con noi. I primi soci della nostra associazione arrivavano dalla raffineria e avevano già delle conoscenze in merito all’antincendio. Attraverso i corsi e le lezioni proposte dalla Provincia e dalla Regione, poi, ci siamo specializzati».

La scelta di creare una Protezione Civile, che sia focalizzata sugli spegnimenti degli incendi, operando però sempre a fianco dei vigili del fuoco, si è rivelata azzeccata.

«Proprio alla fine del 1996 c’è stato un incidente, nel quale è scoppiato il piano di un condominio. Si è così pensato che qualcuno potesse fare qualcosa in attesa dei vigili del fuoco. Era un’idea in parte sbagliata, perché eravamo solo volontari e avevamo pochissima attrezzatura. Poi col tempo ci siamo specializzati, diventando una vera associazione di soccorso e migliorando molto rispetto a quel primo intervento nel quale riuscimmo a fornire soltanto un aiuto parziale. In quel momento, però, noi avevamo solo quel qualcosina in più rispetto ad altri dal punto di vista della sicurezza, grazie a quello che abbiamo appreso nel mondo del lavoro».

Dopo quell’inizio, però, la protezione civile di Sannazzaro ha incrementato le proprie attività, diventando un punto di riferimento, non soltanto per la Lomellina, ma per tutto il territorio in generale.

«Nel corso degli anni ci siamo mossi sia per il terremoto negli Abruzzi che nelle Marche. Inoltre abbiamo applicato le nostre conoscenze all’antincendio boschivo sia in Sicilia, che in Liguria. Siamo poi intervenuti negli allagamenti in Emilia Romagna. Questo tipo di attività ti può dare molto. La soddisfazione è quella di vedere come si possa essere utili aiutando le persone, dopo essere arrivati in luogo dove è appena successo un disastro. Il primo sentimento che incontriamo è sempre lo scoramento, ma quando riusciamo a dare una mano e un aiuto concreto alle persone a poco a poco vediamo il loro volto cambiare. Nel corso degli anni abbiamo visto nascere anche rapporti umani».

In tutti questi anni di attività ci sono stati momenti commoventi e toccanti?

Nascono anche delle amicizie e dei bei rapporti. Ad esempio ricordo in Emilia Romagna una signora, che aveva in casa un metro e mezzo di acqua e fango. Ci ha chiesto di tirargli fuori un armadio particolare con le foto di famiglia. Alla fine questa signora era molto contenta perché abbiamo salvato i ricordi di una vita intera.

Nel corso degli anni anche il Gruppo di Primo Intervento Lomellino ha dovuto confrontarsi con un problema che tocca in generale tutto il volontariato, quello di un numero sempre minore di persone che vogliono parteciparvi?

«Dal punto di vista delle risorse possiamo dire di essere organizzati e di essere cresciuti. Abbiamo fuori strada, carrelli, torri faro, autompompe, Mercedes, mezzi per soccorsi idrogeologici. In genere ci confrontiamo con i problemi legati al cambiamento del clima, ma in generale sentiamo anche la crisi del volontariato. Non riusciamo ad avere nuovi ingressi. L’ultimo è stato due anni fa, una persona di 50 anni che può dare tanto. Siamo mediamente avanti con gli anni, però è una crisi diffusa quella del volontariato, che tocca anche altre associazioni. Si hanno difficoltà a trovare giovani, che abbiamo voglia di fare qualcosa. Devo dire che come Protezione Civile abbiamo fatto molto nel periodo del covid, affrontando un’emergenza alla quale nessuno era preparato, correndo anche tanti rischi. In quel periodo ci aspettavamo l’ingresso di qualche altra persona. Invece dai nostri comuni non è arrivato niente».

Quale è il rapporto con le amministrazioni locali lomelline? Sono disponibili ad avere rapporti con i gruppi di Protezione Civile?

«Noi abbiamo una convenzione con Sannazzaro, Mezzana Bigli e e Scaldasole. Col passare degli anni i comuni ci stanno apprezzando sempre di più. All’inizio facevamo un po’ tutte le attività, come per esempio l’assistenza per le corse a piedi, ma oggi ci siamo molto specializzati. Le mansioni che svolgiamo non sono mai identiche a quelle che sono in campo all’amministrazione comunale. Non ci sostituiamo al personale. Non possiamo ad esempio tagliare l’erba. Noi facciamo protezione civile e basta. Con la nostra specializzazione dell’antincendio a noi viene chiesta primariamente la prontezza».

Riusciamo nel giro di 10 minuti o un quarto d’ora ad avere la prima partenza.

L’attività comporta qualche rischio?

«Un po’ di paura chi deve fare certi interventi la paura deve averla. Diciamo che è una riflessione su quello che potrebbe succedere e di conseguenza significa cercare di prevedere tutto quello che ci potrebbe capitare. Non è nemmeno una cosa così leggera. Affrontare con la dovuta preoccupazione l’emergenza, cercando di prevedere tutto quello che può accadere, anche se abbiamo tutti i dispositivi di protezione individuale. Questo ci consente di non creare nessun problema, perché la prima cosa di cui tenere conto è l’incolumità di chi opera. Il calcolo del rischio non mette a repentaglio la salute di chi è sul posto, che deve capire se non è in grado di effettuare un intervento e aspettare i professionisti».

Negli anni, anche grazie alle capacità gestionali del pericolo e alla presenza sul territorio, i volontari della protezione civile sono cresciuti e hanno attirato tra le proprie fila anche diverse donne. Qual è principalmente il loro ruolo all’interno della vostra realtà?

«In generale non operano sugli interventi, ma si dedicano soprattutto alla prevenzione, spiegando quali siano i pericoli sul territorio, lavorando nelle scuole e cercando di allargare il nostro perimetro. Anche perché negli anni siamo convinti che ci sarà sempre una maggiore necessità della protezione civile, a causa del cambiamento del clima. Sempre di più si vedranno in giro persone che lavorano per togliere rami e alberi, svuotare le cantine e occuparsi delle emergenze. Per questo abbiamo bisogno di chi faccia prevenzione e di personale preparato. Per entrare in protezione civile si devono fare dei corsi. Dopo il corso base c’è un esame sia teorico che pratico. Bisogna imparare a usare motopompa e motogeneratore. Quando uno ha superato il corso base è all’inizio e non deve sentirsi arrivato, si impara sul campo, ma ci sono anche molte altre specializzazioni come i patentini per le motoseghe, i corsi per il rischio idrogeologico e molte altre qualifiche».

Andrea Ballone

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