L’intervista / Sara Bonomi, giocare per aiutare gli altri

Buongiorno Sara. Cominciamo con il parlare di Dadi Ducali, l’associazione di cui sei presidente. Di che cosa si occupa esattamente? Quando è nata e qual è la sua “mission”?

«Dadi Ducali è nata nel 2016: io non c’ero ancora e i fondatori erano un gruppo di persone che, semplicemente, voleva ritrovarsi per divertirsi con i giochi da tavolo e gdr e condividere le proprie esperienze ludiche. Negli ultimi anni c’è stato un boom di realtà di questo tipo, ma all’epoca non c’era niente del genere sul territorio: non c’era nemmeno una sede, si andava per locali di volta in volta proponendo giochi diversi. La prima sede è stata quella di via Boldrini, a palazzo Roncalli, poi ci si è spostati all’Odeon, poi ancora al Polo Ugart presso l’ex Ursus e da qualche settimana ci siamo spostati in via Madonna Sette Dolori negli spazi limitrofi alla parrocchia, dove prima aveva sede il Csi».

Da gruppo di “giocatori” ora però l’associazione è diventata anche altro…

«Sì, la grande differenza rispetto a oggi è che all’epoca non si facevano attività sociali. Le cose sono cambiate principalmente a partire dal 2022, quando le esperienze nel sociale di alcuni dei soci hanno fatto emergere la volontà di utilizzare il gioco come strumento di socializzazione, oltre che dare ai ragazzi un’alternativa e uno spazio, anche fisico, dove trovarsi. Vogliamo diffondere anche la cultura di un gioco sano, contrapposto a quello d’azzardo, e fornire strumenti contro l’alienazione, il chiudersi in sé stessi».

Questi nuovi obiettivi hanno cambiato il vostro modo di organizzare eventi e attività?

«Il nostro evento principale, Giochi Ducali, prima era principalmente un festival ludico, dove andare e provare boardgame o roleplay nuovi. Dal 2022 lo abbiamo aperto anche alle altre associazioni ed è diventata una “festa del volontariato” con uno scopo: tutto doveva essere incentrato sul gioco. E’ qualcosa di diverso sia da un Lucca Comics, che ha anche risorse che noi non abbiamo, sia da una fiera di settore, dove si paga l’ingresso e tendenzialmente si acquista: da noi, chiunque possa portare un gioco “sano” è il benvenuto. Per esempio, la Caritas diocesana ha portato un suo progetto contro il gioco d’azzardo e contro l’alcolismo, con un gioco che simulava gli effetti dell’alcol assunto mentre si è alla guida. Quest’anno non è stato possibile organizzarlo, per via della Cavallerizza chiusa e di altri fattori, ma è qualcosa che vorremmo riproporre nel 2025 per il mese di giugno: ovviamente mantenendo l’ingresso gratuito».

Scusa, lo chiedo con una battuta: è previsto che ci siano dei giochi da tavolo nel vostro festival di giochi da tavolo?

Certo. E ci saranno soprattutto quelli di piccoli autori indipendenti, ai quali non chiediamo nulla per poter esporre, e far giocare, le loro creazioni. Uno dei nostri obiettivi è anche quello di far sviluppare la creatività.

Nell’ultimo periodo avete proposto anche giochi di ruolo live in Castello: una novità che da queste parti non si era mai vista.

«Abbiamo attirato molte persone in quelle occasioni e, per noi come giocatori, un’esperienza di quel tipo è grandiosa. Ma lo è anche per la città, si riesce a valorizzare il Castello in un contesto nuovo e magari in orari, come la sera, quando non è sfruttato. Anche per la prossima edizione di Giochi Ducali vorremmo utilizzare il maniero. Oltre alla Cavallerizza e al cortile abbiamo fatto richiesta delle due sale sotterranee, vorremmo dedicare degli spazi anche alla musica, al mondo del cosplay. L’ultima volta era venuta gente da ogni dove: da Lecce, da Londra… è una cosa che piace, e che penso abbia una ricaduta anche sul commercio cittadino».

La vostra vocazione sociale vi ha portato anche “lontano” dai classici tavoli da gioco…

«Abbiamo portato avanti tanti progetti nelle scuole. Uno in particolare all’istituto Casale di Vigevano, appena finita la pandemia. Abbiamo trovato una classe molto divisa: da una parte gli studenti più “benestanti”, che durante il lockdown avevano avuto tutti gli strumenti per poter continuare le proprie attività da casa e ne erano usciti un po’ alienati, dall’altra altri ragazzi, alcuni di origine straniera, che invece avevano continuato a frequentarsi tra di loro e per questo formavano gruppi molto chiusi. Con la scusa del gioco li abbiamo costretti a mischiarsi, dando vita poi anche ad amicizie improbabili. Un ragazzino, scarsissimo in matematica, per contare i punti ha iniziato a fare le potenze a mente, stupendo professori e genitori: da lì ha cominciato a prendere 7. In altre scuole abbiamo portato avanti progetti contro la dispersione scolastica; molti giochi poi servono anche ad abbattere le barriere linguistiche perché sono principalmente visivi».

dadi ducali Sara BonomiIl gioco è una dinamica della vita che molti associano all’infanzia. Quanto è importante invece la dimensione ludica per un adulto?

«Quasi tutte le nostre attività, a dire il vero, sono pensate per gli adulti. Il gioco è importante, è una valvola di sfogo sana, di permette di imparare a gestire le emozioni. Ormai anche tante aziende utilizzano il gioco per simulare situazioni di crisi: non solo per imparare a gestirle ma anche perché, se la simulazione va male, ci si rende conto che non è una cosa così grave. Il gioco ha tanto volti: con il gioco di ruolo puoi liberarti dei tuoi limiti, essere qualcun altro, oppure puoi fare il master e creare tu la vicenda, magari scoprendo di essere bravo a scrivere o a recitare. Il gioco da tavolo è invece un modo per conoscere persone di età, generi, estrazioni sociali diverse: è un collante sociale, che stimola a livello cerebrale. A tal riguardo, abbiamo in ballo un progetto per coinvolgere nonni e nipoti, non appena avremo le risorse per farlo. Qualche socio anziano ce l’abbiamo e il gioco lo tiene giovane».

Ecco, a proposito, quanti siete voi Dadi Ducali?

«Come soci siamo una quindicina, ma attorno a noi abbiamo una “comunità” di circa 150 persone, che arrivano anche da fuori Vigevano. Realtà come la nostra, che non si limita a essere un semplice ritrovo per giocatori, non sono molte. Noi cerchiamo di dare molta libertà ai soci, approfittando di tutto il retroterra culturale che si portano dietro. Io ad esempio sono stata portata lì da un’amica che aveva conosciuto l’associazione a un evento in biblioteca: spesso è agli eventi culturali che “acchiappiamo” nuovi volontari. Ci sono poi i giocatori “hardcore”, quelli più legati al mondo “nerd”, altri attirati dai social, uno strumento che noi usiamo molto. La nostra forza è avere al nostro interno gente con tante esperienze diverse: io arrivo dal mondo del sociale; il mio segretario gioca con la famiglia, e quindi è specializzato in giochi per tutti e di breve durata, e adora i gatti, tema di molti suoi boardgame; il nostro tesoriere è una persona neurodivergente e di conseguenza sa come comportarsi in determinate situazioni, con persone simili. Siamo tutti diversi e ognuno è libero di far appassionare gli altri a ciò che appassiona lui».

Giocare, dunque, non è una perdita di tempo, anzi. Il mondo del gioco può offrire anche opportunità lavorative?

«Il mondo del gioco è parecchio vario. Esistono anche scuole di game design: il nostro sogno è trovare il modo di proporlo a persone che magari hanno abbandonato gli studi e potrebbero in quel modo trovare un nuovo sbocco. Tra i nostri soci abbiamo anche degli educatori, che magari ci hanno conosciuto in qualche iniziativa e hanno deciso di formarsi nella parte ludica, cambiando così anche la loro professione. Nella nostra ludoteca abbiamo oltre 400 titoli di ogni tipo: se qualcuno di loro ce li chiede in prestito per i loro progetti, di sicuro non ci tiriamo indietro».

Alessio Facciolo

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