Tra carnevale e quaresima

Data l’ambivalenza degli argomenti tra carnevale e quaresima nella Vigevano di metà Novecento, staglio l’introduzione con un manzoniano accusativo alla greca e scrivo: Rapide, i piedi in volo sui lastricati tratti della ducale piazza, le ultime maschere sfuggivano ai gravi tocchi del campanone del duomo alla mezzanotte del martedì grasso.

Era il “carne – vale”, dal latino “carne – addio” (di cibo e di voglie) con l’aprirsi a “quadragesima dies” ossia ai quaranta giorni in preparazione alla Pasqua che, per noi bambini, consisteva nella pratica dei “fioretti”, piccoli sacrifici quotidiani (di gola, obbedienze, studio). Il nonno Pèpu procurava qualche brivido in più a noi bambini, descrivendo l’uscita dal duomo dei canonici in piviale scuro, con tanto di candele e di incenso, e lì sul sagrato, l’annuncio: Quaresima. E tirava lunga l’ultima vocale, insistendo su quella “a” finale lunga appunto

coma ra quarèisma.

Non risparmiava qualche rimprovero supplementare ai figli (genitori e zii di noi bambini), ricordando qualche loro ritorno a casa dopo la mezzanotte ultima di carnevale, anche se di pochi minuti, ma sufficienti per rigorosi e immediati castighi: «Al druìva ra curèsa» usava la cinghia dei pantaloni! Oggi “quelli della notte”, con i ritrovi che aprono appunto a notte, esaurirebbero le cinghie in circolazione. Le Ceneri (dei rametti d’ulivo, o “rimulìva”, ormai rinsecchiti e bruciati) venivano imposte sulla fronte con la formula del “Memento homo” che sei polvere. Un ripensamento salutare sulla caducità umana. Per il nonno, il comune destino mortale era l’unica realtà uguale per tutti; affermava: «A pensarci bene spariscono prepotenza e arroganza», che in lingua locale scandiva «pensài bèn sparésa preputènsa e arugònsa». Lo zio Mario era un po’ meno entusiasta della “quarèisma”, poiché aveva un bel negozio “ad beché”, di macellaio, in centro città: e se durante l’anno al venerdì (giorno di magro, senza carne) doveva chiudere bottega, figurarsi in quaresima! Ben felice era invece l’anziano padre Filippo da Suardi, del convento dei frati cappuccini di Vigevano, che esaltava «le belle quaresime ad olio» di cibi conditi con solo olio, senza intrugli di lardo e derivati, per purificazione di spirito e di corpo: pesi e contrappesi (e direi anche sovrappesi) si equilibravano nelle regole condivise per una vita tranquilla e serena.

Marco Bianchi

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