È protesa in avanti, in un futuro che verrà, quando e come non lo sappiamo, la Parola proposta per questa domenica per avviare il grande cammino d’Avvento, inizio del nuovo anno liturgico e “tempo favorevole” per una conversione del cuore ed un profondo rinnovamento di vita, che segni un “salto di qualità” nell’esperienza di fede di ognuno. “Vigilare” è la parola chiave che ritmerà il percorso di questo “kairos” da cui dipende in buona parte il colore di quella relazione con Dio che si esprime nel tempo della Chiesa e nel “luogo” della celebrazione liturgica.
Non si tratta soltanto e primariamente di prestare attenzione ad evitare il peccato. È questa una dimensione morale importante ma che rischia di offuscare il valore fondamentale di questo atteggiamento caratteristico di tutta la vita cristiana.
Vegliare è necessario anzitutto per vedere la “liberazione vicina” che il Signore porta nell’oggi e della quale dobbiamo cogliere i segni di imminente venuta.
Gli elementi di sconvolgimento cosmico con cui si apre il Vangelo, sebbene inquieti o e generino “paura per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”, sono, per il credente che nella preghiera ha saputo riconoscere Cristo come suo salvatore, un invito ad “alzare il capo” per vedere il realizzarsi di uno speranza attesa e a lungo invocata. Il “laccio” che “si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra” è, infatti, quell’azione straordinaria di Dio che incatena il male (come suggerito dall’Apocalisse) e libera la storia dell’uomo dalla sua presenza perché possa fiorire in pienezza il meraviglioso disegno preparato da Dio “fin dalla fondazione del mondo”. Ecco perché Gesù mette in guardia dall’appesantimento del cuore. Gli affanni e le distrazioni della vita rischiano di soffocare quest’attesa speranzosa, portando a vedere il presente non come tempo dell’azione di Dio, ma come storia in balia degli eventi della quale non si intravede più nemmeno un lieto fine.
Quei “giorni” di cui parla Geremia allo sguardo reso attento dalla preghiera non sono più, allora, proiettati in avanti, in un tempo indefinito, ma sono già vivi nell’azione quotidiana del Signore che, come germoglio in un campo deserto, inizia a cambiare la storia a partire dai cuori di chi lo attende e gli apre la porta perché possa “entrare e cenare” con lui.
Paolo, che nella seconda lettura esorta a “crescere e sovrabbondare nell’amore verso tutti”, descrive in fondo, con parole differenti, lo stesso sconvolgimento presentato dal Vangelo: su un mondo dominato dal male e dall’egoismo si abbatte tutta la forza della carità che crea un’umanità nuova, modellata sulla santità di Dio. Il cuore dell’Avvento è allora la fiducia (come ricorda il Salmo 24) in un progetto di Dio sulla storia che già si compie nel tempo e che sarà piena soltanto alla fine. Nell’equilibrio tra il “già” e il “non ancora” è tracciato il cammino che la Chiesa ci chiede di richiamare alla mente all’inizio dell’anno perché possa accompagnare poi ogni giorno della nostra vita cristiana.
don Carlo Cattaneo