22 settembre, XXV Domenica del Tempo Ordinario

L’odierno vangelo di Marco ci mette davanti alla grande stravolgente rivoluzione che Gesù, il Figlio di Dio, offre al catecumeno che riceve il primo annuncio della fede. Alla fine non vince il mondo, ma i criteri di Dio che guidano la Storia. La gloria di Dio si attesta per vie divergenti da quelle che noi percorriamo inseguendo sogni di gloria e le illusioni umane svaniscono come foschia mattutina al sorgere del sole.

Il vangelo di oggi vede tre sezioni: il secondo annuncio della Passione; la questione del servizio come segno di potere e gloria agli occhi di Dio; l’esplicitazione dei criteri del Regno attraverso l’immagine del bambino/servo.

L’evangelista annota due situazioni: incomprensione e timore dei discepoli. Tali percezioni di fronte a questo discorso sono anche le nostre: noi non comprendiamo la lontananza del Figlio da Dio stesso provata nella Passione per gustare sulla sua pelle la conseguenza del peccato in noi. In fondo, le intemperanze di Pietro all’intuizione che l’annunciata fine di Gesù coincida con la propria personale fine, sono tranquillamente le nostre.

Il Cristo che fa il Cristo con quelle categorie non è di certo quello atteso da Pietro, ma neppure da Israele. Noi non comprendiamo neppure quali implicazioni abbia su di noi questo modo di essere il Cristo e quindi di essere cristiani. E questo comporta in noi letteralmente la “fobia” nel chiedere delucidazioni; in fondo il Pietro che impone a Gesù come fare il Cristo si è annidato anche in noi. Abbiamo paura che Gesù chieda di lasciare tutti i compromessi coi potenti del Mondo con cui a vari livelli abbiamo tessuto trame di influenza e di potere, nella penosa illusione di ricevere encomi e riconoscimenti da un Mondo che è sempre “cattivo pagatore”.

Gesù offre ai discepoli la logica del servizio come antidoto a questa paura paralizzante: e se non mi amano? E se non mi temono? E se non mi valorizzano? Il vero potere e la somma gloria davanti a Dio confluiscono nella somma libertà di mettersi al servizio anche di chi non merita i nostri servigi. E questa è perfetta letizia perché libera dalla soffocante pretesa del ritorno gratificante che non c’è.
Il bambino che compare in scena quasi dal nulla, chiamato dalle faccende domestiche che (in quanto servo) stava svolgendo, è l’emblema dei criteri del Regno: l’attenzione preferenziale per chi non conta, perché Dio fa così. E chi agisce come Dio, chi ne adotta lo stile, abituandosi al bene, forse che non diverrà come Lui? E cosa può esserci di più potente e glorioso per noi?

don Andrea Padovan

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