Il presidente Mattarella cita il beato Olivelli

«Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano». Con queste parole del beato Teresio Olivelli, partigiano ucciso in un campo di concentramento in Baviera nel 1945, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

ha chiuso il suo discorso in occasione della festa della Liberazione, pronunciato lo scorso 25 aprile a Vittorio Veneto, luogo simbolo del successo italiano nella prima guerra mondiale, l’altro conflitto che ha forgiato, nel bene e nel male, l’identità italiana. «La Resistenza – ha affermato il Capo dello stato – con la sua complessità, nella sua grande attività e opera, è un fecondo serbatoio di valori morali e civili. Ci insegna che, oggi come allora,

c’è bisogno di donne e uomini liberi e fieri che non chinino la testa

di fronte a chi, con la violenza, con il terrorismo, con il fanatismo religioso, vorrebbe farci tornare a epoche oscure, imponendoci un destino di asservimento, di terrore e di odio.

A queste minacce rispondiamo con le parole di Teresio Olivelli: “Lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano”

Olivelli, dichiarato beato il 3 febbraio del 2018, testimoniò questo spirito di “combattente” sin dalla giovinezza, contraddistinta dagli eccellenti risultati negli studi e dall’impegno nell’associazionismo cattolico – Fuci, San Vincenzo, Azione Cattolica – oltre che dal personale tentativo di riforma dall’interno del fascismo, abbandonato nel 1943 al ritorno dalla campagna di Russia – alla quale partecipò come ufficiale volontario degli alpini nonostante potesse beneficiare dell’esonero dal servizio militare – dopo aver sperimentato le conseguenze nefaste della dittatura fascista e aver soccorso, anche a rischio della vita, i soldati italiani feriti e moribondi nel corso della ritirata. Da questo momento Olivelli fu impegnato nelle fila della resistenza cattolica bresciana, senza partecipare ad azioni belliche, ma diventando un punto di riferimento per i combattenti d’ispirazione cristiana che si opponevano all’occupazione nazifascista anche attraverso il foglio “Il ribelle”, nel quale immaginava la rinascita dell’Italia dopo la guerra. Per questa sua attività fu arrestato più volte e infine internato a Hersbruck, dove assistette gli ammalati e accudì i moribondi, fino a difendere col proprio corpo un prigioniero ucraino da un pestaggio; colpito al ventre, morì il 17 gennaio 1945.

Il presidente Mattarella ha scelto la sua immagine per ribadire quali valori animarono la Resistenza e determinano oggi l’importanza della festa della Liberazione: «È il dovere, morale e civile, della memoria. Memoria degli eventi decisivi della nostra storia recente, che compongono l’identità della nostra Nazione da cui non si può prescindere per il futuro.

Il 25 aprile del 1945 nasceva, dalle rovine della guerra, una nuova e diversa Italia, che troverà i suoi compimenti il 2 giugno del 1946, con la scelta della Repubblica e il primo gennaio 1948 con la nostra Costituzione.

Il 25 aprile vede la luce l’Italia che ripudia la guerra e s’impegna attivamente per la pace. L’Italia che, ricollegandosi agli alti ideali del Risorgimento, riprende il suo posto nelle nazioni democratiche e libere. L’Italia che pone i suoi fondamenti nella dignità umana, nel rispetto dei diritti politici e sociali, nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione fra i popoli, nel ripudio del razzismo e delle discriminazioni». Una situazione diversa rispetto al periodo precedente, perché

non era così nel ventennio fascista. Non libertà di opinione, di espressione, di pensiero. Abolite le elezioni, banditi i giornali e i partiti di opposizione

Gli oppositori bastonati, incarcerati, costretti all’esilio o uccisi. Non era permesso avere un pensiero autonomo, si doveva soltanto credere. Credere, in modo acritico e assoluto, alle parole d’ordine del regime, alle sue menzogne, alla sua pervasiva propaganda. Bisognava poi obbedire, anche agli ordini più insensati o crudeli. Ordini che impartivano di odiare: gli ebrei, i dissidenti, i Paesi stranieri. L’ossessione del nemico, sempre e dovunque, la stolta convinzione che tutto si potesse risolvere con la forza della violenza. E, soprattutto, si doveva combattere. Non per difendersi, ma per aggredire». Il traumatico risveglio dell’8 settembre portò alla nascita della Resistenza, che raccolse in maniera trasversale «contadini, operai, intellettuali, studenti, militari, religiosi», tra cui vi erano «azionisti, socialisti, liberali, comunisti, cattolici, monarchici e anche molti ex fascisti delusi», ricordando che tra i soldati seicentomila finirono internati e cinquantamila morirono, «un numero imponente che fa riflettere sulla decisa prevalenza del senso di onor di Patria rispetto al fascismo fra gli appartenenti alle Forze Armate», e senza dimenticare «il contributo fondamentale delle centinaia di migliaia di persone che offrirono aiuti, cibo, informazioni, vie di fuga ai partigiani e a militari alleati; e dei tanti giusti delle Nazioni che si prodigarono per salvare la vita degli ebrei, rischiando la propria. […] Per la Resistenza fu decisivo l’apporto delle donne, volitive e coraggiose». Quello delineato dal Presidente della Repubblica è perciò un movimento di popolo che, senza nasconderne gli eccessi che pure Mattarella ha citato, rappresenta uno snodo identitario fondamentale, da non smarrire per non perdere il senso di essere italiani.

Giuseppe Del Signore

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