Un lavoro simile a quello di un investigatore, che da piccoli particolari deve ricostruire un fatto: in questo caso un’opera d’arte. É il mestiere del restauratore, spesso chiamato a risolvere un problema non privo di misteri ed emozioni.
IL POLITTICO Lo conferma Roberta Grazioli, che nel suo laboratorio a Bergamo è intervenuta sulla tavola del 1478 raffigurante Santa Caterina da Alessandria e San Benedetto da Norcia, realizzata da Stefano de’ Fedeli, custodita per molto tempo in un caveau a Rosasco e dal 5 al 29 ottobre in mostra al Museo del Tesoro del Duomo di Vigevano insieme al resto di un polittico in parte riconducibile, tra gli altri, a Paolo Veneziano. «A Rosasco – spiega Grazioli – non c’era un museo e le condizioni conservativo-atmosferiche non erano controllabili. L’opera era lì da tanto tempo e l’ultimo restauro era avvenuto negli anni ’60 grazie a Pinin Brambilla Barcilon. Le condizioni erano aggravate da tarlature, distacco e sollevamenti del supporto, perdita di materia, vernici e ritocchi alterati».
Il restauro non è durato tanto, perché abbiamo dovuto agire in un arco di tempo compresso, circa tre mesi, e senza una revisione critica degli interventi precedenti. Ciò ha richiesto più riflessioni, anche se gli interventi più recenti non presentavano controindicazioni dal punto di vista strutturale.
LA SOPRINTENDENZA Il tutto verificato dalla Soprintendenza, con la restauratrice Sonia Segimiro e il funzionario competente Benedetta Chiesi. Un lavoro impegnativo per Roberta Grazioli, che fa questo mestiere con grande passione dal 1992. Ma che cosa si prova ogni volta che ci si trova davanti un’opera d’arte da restaurare? «In un primo momento una grande emozione, poi ci si distacca per non perdere la lucidità, in modo da essere cauti e attenti, e non interferire. Solo dopo, in una fase consuntiva, guardiamo l’opera esposta nella sua interezza. In certe fasi si può fare un intervento irreversibile, quindi l’attenzione dev’essere puntuale, unita a uno spirito critico per analizzare tutto quello che si manifesta, procedere con obiettività, affrontare gli imprevisti e vedere le opere al meglio di fronte a dati in continua evoluzione».
I DETECTIVE DELL’ARTE Com’è stato l’approccio all’opera di Stefano de’ Fedeli? «Non lo conoscevo, ed è sempre interessante un autore nuovo. Noi restauratori indossiamo spesso le vesti di “detective” per fornire dati agli storici. Il corpus di quest’opera è stato realizzato nell’arco di oltre un secolo, dal 1348 al 1478, con una tecnica esecutiva rilevante per alcuni aspetti, soprattutto nelle dorature che si evidenziano molto bene. Non capitano spesso sotto gli occhi opere che evidenziano evoluzioni tecniche in maniera consecutiva con modifiche dal punto di vista della forma stilistica. In questo caso si va dallo stile gotico al gusto cortese. In più di un secolo le tecniche cambiano e questo fornisce agli storici una serie di dati senza dubbio interessanti sugli usi e costumi dell’epoca».
Davide Zardo